La cornice temporale della settima edizione di Straperetana va oltre l’arco intergenerazionale delle diciotto artiste coinvolte – da Maria Lai (1919-2013) alle giovani Francesca Chiola (1999), Sara Dias e Satya Forte (entrambe del 2000), studentesse dell’Accademia di Belle Arti de L’Aquila – e indica una traiettoria che, grazie alle arti visive, restituisce profondità storica all’autonomia di pensiero e all’importanza del sapere. L’immagine guida di “Ultramoderne”, questo il titolo della mostra diffusa nel borgo di Pereto, è Ipazia, uccisa ferocemente ad Alessandria d’Egitto l’8 marzo del 415 d.C. da cristiani intransigenti, evento che segnò l’epilogo del paganesimo come del pensiero scientifico e filosofico libero da dogmi e alimentato dallo studio e dall’educazione.
Tra le due consuete sedi di Straperetana – Palazzo Maccafani, dimora abruzzese della galleria Monitor, e Palazzo Iannucci, detto anche Casa del Prete – il percorso è costellato non soltanto da alcuni degli interventi realizzati durante le passate edizioni e da quelli proposti quest’anno, ma anche da una serie di manifesti in bianco e nero ad opera di Veronica Leffe raffiguranti donne iconiche della storia, tra cui Ipazia, originariamente realizzate per il primo capitolo dello pseudobiblion Il libro azzurro contenuto nel romanzo inedito Lo splendore di Pier Paolo Di Mino. Le opere scelte e in alcuni casi espressamente realizzate per “Ultramoderne” vanno quindi a dare sostegno all’ampio bagaglio tematico intrinseco alla mostra, a quel tessuto connettivo della Storia che, come i fili di Maria Lai in Senza titolo (Pagina-oggetto) del 1978, vanno oltre la pagina scritta. Il filo diviene groviglio in Rosso Animamanzia (2023) di Beatrice Celli, scultura totemica composta di diversi materiali tra cui un puntello post sisma (abruzzese) che sostiene e presenta il rosso confuso e urlante di una sofferenza espulsa tramite il gesto, mentre in Sorella Carovana (2019) una carriola diviene un piccolo convoglio il cui tessuto nero protettivo riporta, ricamate, personali e collettive immagini dal sapore mistico. Il filo poi è stoffa negli scialli del 2020 di Maria Adele Del Vecchio che accolgono parole e frasi dall’impatto poetico come: “quando la bambina piange / non sapendo cosa fare / piango anche io”. E, infine, la parola diviene corpo o, meglio, il corpo diventa alfabeto in Mater (1977-2015) di Tomaso Binga.
Da Palazzo Maccafani – che accoglie anche le opere di Ruth Beraha, Cloti Ricciardi e l’installazione di Sonia Andresano – a Palazzo Iannucci il filo si trasforma prima in spago in Nel mentre avanzo (2023) di Sara Dias e poi tramuta in ferro nella piccola scultura di Francesca Chiola e in Ipotesi per sette teste (2023) di Lulù Nuti. Si tratta delle prime ipotesi derivate dallo studio di San Giorgio e il drago, in particolare da quello dello stendardo della Chiesa di San Giorgio a Pereto, di cui la versione finale (Egli danza, 2023) è esposta nel magazzino della Casa del Prete: una linea grafica che unisce il santo con il drago in una lotta che è una fusione, come quella necessaria per rendere duttile il ferro. Nella stanza accanto – la “cella di sicurezza per gli uomini”, destinazione d’uso di quando il palazzo ospitava la caserma dei Carabinieri – è proiettato un video di Anouk Chambaz, Etudes (à Pereto) (2023), realizzato a seguito di una residenza in loco e ritraente alcuni abitanti del paese sui cui volti sono dipinti emblemi di Pereto da loro scelti. Queste piccole pitture su pelle sono state eseguite da Giulia Mangoni il cui lavoro principale è il grande dipinto in acrilico allestito all’esterno di una casa in rovina, nel tragitto che un tempo era quello delle pecore di ritorno dai pascoli: Arrivano le pecore (tramonto a Pereto) (2023) deriva dal rapporto con alcuni abitanti del paese, in modo particolare con il pastore Ermanno.
La connessione con la natura, con la cultura e con un passato rurale che si fa presente è la linfa stessa di Straperetana che, come dimostra Satya Forte nella sua installazione Se non il vento (2023) all’ultimo piano di Palazzo Iannucci (dopo le sale con le opere di Elisa Montessori, Rä di Martino, Eva Marisaldi e Maddalena Tesser), trasforma la polvere in preziosa materia da raccogliere e soppesare per creare nuove possibilità di connessione.