Si intitola “Suspense. Sculture Sospese” l’ultimo progetto curato da Lorenzo Giusti e Arabella Natalini presso lo spazio EX3 di Firenze. Sedici lavori uniti dalla sospensione spaziale, “una selezione tra le molte a cui si può far riferimento”, afferma Giusti nel catalogo edito da Damiani. Una volta dentro lo spazio espositivo si ha la sensazione che qualcosa sia successo e si sia fermato. Come nella sequenza dell’esplosione nel film Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni, si vive lo stesso senso di vertigine che obbliga lo sguardo a sostare sull’immagine, a contemplare i pezzi di un’epoca in cui cadono le certezze filosofiche, le ideologie politiche e religiose. Ogni scultura porta con sé un pezzo di reale che viene assemblato e ricostruito sui principi di sobrietà e leggerezza, diventando così un precario oggetto organico.
Tomorrow Will Be Like Today si intitola l’opera di Hans Schabus, in cui l’artista sospende uno sgabello artigianale utilizzato per anni da uno scultore italiano che lo ha ricoperto con pezzi di stoffa aggiunti nel tempo. Ogni frammento dello sgabello diventa parte del racconto personale di chi lo ha vissuto, mentre la sua sospensione tesse una storia a-temporale.
Il gruppo di opere scelte vuole dimostrare come la produzione scultorea contemporanea tenda a liberarsi della pesantezza e, anche qualora l’oggetto sia greve, come lo sciame di cemento dell’artista messicano Héctor Zamora, non costituisce un impedimento alla volontà di svincolarsi da ogni rapporto con il suolo. Gli artisti aprono, così, un corpo a corpo con il terreno: ecco allora l’installazione del toscano Franco Menicagli che supera il problema gravitazionale e vive di forze intrinseche e determinate dalla relazione di oggetti diversi assemblati tra loro. Spesso si tenta di stabilire un contatto tra il basso e l’alto, il verticale e l’orizzontale, il tradizionale spazio della visione con quello del quotidiano, come nelle sculture di Daniela De Lorenzo e Alexandra Bircken che sfiorano il pavimento creando una sospensione fisica, ma anche di senso. “Suspense” innesca, così, un’attesa, la stessa che nei film si consuma lentamente e quasi sempre alla fine. In questo caso la suspense non si risolve e l’oggetto sospeso crea una tensione che obbliga a interrompere “il flusso abituale e atteso degli eventi, l’abitudine a recepire e subire un flusso continuo di immagini” (A. Natalini). La sospensione in scultura ha radici nella tradizione avanguardista e in particolare nei “Mobiles” di Calder (citati, in mostra, dall’artista Beth Campbell). Oggi questa perdita di peso contribuisce ulteriormente all’abolizione del piedistallo e quindi al processo di de-monumentalizzazione in atto. Ma come afferma Fabio Cavallucci, chiamato inevitabilmente in causa dopo aver intitolato la sua Biennale di Carrara “PostMonument”, “la monumentalità non è affatto in crisi”; aggiungo: non solo quella estetica (vedi le installazioni di Tobias Rehberger), ma anche quella politico-sociale, per cui si preferisce non seppellire un cadavere per paura che la tomba ne diventi il monumento!