Tadeusz Kantor è stato un uomo dalle accese contraddizioni sia nella politica che nel proprio lavoro; era un artista capace di drammatizzare e di provocare. Il suo metodo di lavoro assorbiva e condensava i diversi stili della storia dell’arte. Tematiche quali l’oppressione ai danni della società, le derive culturali, l’impotenza e la varietà di approcci nei confronti dell’onnipresenza della morte sono ricorrenti nella sua produzione, influenzata dalle due guerre mondiali, dallo sterminio degli ebrei a Cracovia e dal declino della vita culturale all’interno della società comunista durante gli anni della Guerra Fredda.Oggi Kantor, che aveva sempre portato avanti e coltivato un concetto di arte che va oltre i confini, è tra i più importanti artisti polacchi del XX Secolo, noto soprattutto per essere stato un pioniere delle avanguardie teatrali e per avere coscientemente ridotto le distanze tra palcoscenico e “vita reale”. La sua compagnia itinerante, la Cricot 2, fondata negli anni Cinquanta insieme a Maria Jarema e Kazimierz Mikulski, lo rese famoso in tutto il mondo negli anni Settanta grazie al ciclo del “Teatro della morte”. Oggi sono stati riscoperti alcuni aspetti del suo lavoro, come gli happening, i dipinti, i disegni, i collage, le sculture e i costumi per le pièce, tutti elementi che l’artista intendeva come oggetti d’arte autonomi. Non a caso ha pubblicato anche una serie di manifesti nei quali illustrava i fondamenti teorici del suo approccio all’arte.
L’Informale ha influenzato ampiamente il lavoro di Kantor dopo la Seconda Guerra Mondiale quando ha cominciato a utilizzare una pittura fatta di spessi strati di olio, vecchi stracci, libri logori, spazzatura e legno tarlato. Tutti i materiali e gli oggetti utilizzati per i suoi dipinti, così come gli elementi dei set teatrali, illustrano il suo concetto di “materia”, ripreso da quello cosiddetto “senza forma” di Rosalind E. Krauss e Yves Alain Bois. L’uso dell’“Informale” è infatti un espediente stilistico contro la crisi del dopoguerra al fine di risvegliare le emozioni e identificare una realtà al di fuori delle restrizioni di quel periodo. Nell’opera teatrale La Classe Morta (1975), Kantor “cerca di evocare l’eccitazione e le lacrime […] umane” (1) attraverso il degrado degli oggetti e dei personaggi. I materiali effimeri vengono impiegati per rappresentare i messaggeri della morte che diventeranno persone, manichini, marionette o scheletri di legno scricchiolante, come nella Macchina dell’Amore e della Morte (1987).
L’indagine sulla morte nelle sue varie sfaccettature è esemplare ne La Classe Morta, la sua opera teatrale più famosa, la quale non si basa su una trama realistica, ma si sviluppa a partire da atti rituali e da un’alternanza di movimento e immobilità che segue il motivo musicale del Valse François di Zygmunt Krasiński. Questo lavoro può essere descritto come un misto di commedia, happening e installazione (2) e i suoi molteplici riferimenti biografici illustrano le memorie di un’infanzia ormai passata. L’ambientazione è una classe scolastica arredata con vecchi banchi di legno e libri di testo diventati quasi polvere. La stanza racchiude inoltre i ricordi delle punizioni subite, riportate sulla lavagna, e i richiami allo spogliatoio della scuola, inteso come un luogo di maggiore libertà.
Gli attori sono uomini anziani, più vicini alla morte che alla vita. Truccati per apparire più pallidi, portano sulla schiena dei manichini a grandezza naturale che simboleggiano la loro infanzia. I personaggi di Kantor non rivestono di certo ruoli chiari e privi di ambiguità, ma presentano un coacervo di ricordi di esistenze diverse. Il gruppo di persone e i manichini raccontano infatti di una memoria collettiva, e questi ultimi sono importanti in quanto non sono solo messaggeri di morte, ma testimoniano anche concetti di repressione. L’artista colloca queste figure ai margini della cultura ufficiale — sembrano uscite dalle bancarelle di una fiera e dalla stanza di un mago —; vengono inserite nell’opera per avvicinare al gusto delle masse, al servizio di una “verità genuina”. I manichini simboleggiano anche il blasfemo, “… tutta la parte oscura, notturna, ribelle delle azioni umane. Provengono dal mondo del crimine e della morte” (3). Il teorico dell’arte Hal Foster affronta il tema della repressione quando interpreta l’uso dei manichini come un espediente per esorcizzare il trauma della guerra — una “riproposizione del represso”, mista alle idee forgiate dalla psicoanalisi negli anni Venti, che definiscono il soggetto collocandolo tra la ripetizione compulsiva e il desiderio di morte (4). Le figure di Kantor sono l’antitesi di ogni nozione di bellezza fisica, vanno contro l’idea di pulizia: sono figure grigie, polverose e informi, come se fossero resuscitate dall’oltretomba.
Con i suoi happening Kantor è riuscito a portare il teatro fuori dagli spazi tradizionali, conducendo lo spettatore a ripensare gli schemi preesistenti della realtà. La sua è stata un’operazione quasi ingenua, dato che non era facile realizzare gli happening dopo che vennero vietati dalle autorità polacche durante la Guerra Fredda. Happening come The Letter furono permessi solo perché dichiarati opere carnevalesche itineranti, così come The Sea Concert, Osieki (1967). Qui Kantor indossava un accappatoio a strisce mentre dirigeva una scena assurda camminando avanti e indietro su una spiaggia: Edward Krasiński, importante esponente dell’arte polacca degli anni Sessanta e Settanta, interpretava un direttore d’orchestra su un piedistallo collocato sul bagnasciuga, con le spalle al pubblico mentre “dirigeva” le onde. Questa “sinfonia di onde” era affiancata da “motociclette in fuga”: cinque motociclisti facevano una gara sulla spiaggia, in riva al mare, mentre una fila di persone metteva in moto un trattore sgangherato. Quindi, il direttore d’orchestra sparava un razzo in aria quando all’orizzonte appariva una barca con sirene ululanti. Alla fine, il direttore svuotava un secchiello di pesci morti gettandoli verso gli spettatori e spogliandosi del suo frac. Il Sea Concert fa parte della serie di happening al mare, divisa in quattro parti, dal titolo “Panoramic Sea”. Gli happenig sono stati documentati dal fotografo Eustachy Kossakowski e preservati per i posteri (5).
La metodologia di lavoro era un elemento fondamentale nell’opera di Kantor. Siccome non riusciva ad accettare il fatto di portare a termine le cose, sperava che la reiterazione lo avrebbe avvicinato alla realtà. Allo stesso tempo, data la sua smemoratezza, conservava manifesti, periodici e oggetti, tanto che nel 1979 creò un archivio a Cracovia per documentare la sua opera (6). La costante ripetizione di certi oggetti, frammenti e tematiche fa emergere l’aspetto più sensibile del suo lavoro. Gli oggetti che presentava sul palcoscenico non possono essere definiti oggetti teatrali tradizionali, bensì elementi performativi, importanti quanto gli stessi performer. Oggi vengono concepiti come oggetti d’arte autonomi, sia che provengano dal teatro o che siano stati realizzati dallo stesso Kantor. I più importanti vengono da La Classe Morta e Macchina dell’Amore e della Morte. Quest’ultima pièce fu prodotta dal Centro Ricerche Teatrali di Milano e da Antonio Pasqualino, direttore del Museo Internazionale delle Marionette di Palermo, un’istituzione privata che ne ospita tuttora l’allestimento.
Nonostante Kantor abbia sempre lavorato sulla memoria, era consapevole del fatto che essa non è una riflessione oggettiva sul passato. Le persone dimenticano, distorcono, reprimono se necessario, come testimonia il periodo tra le due guerre, e questo processo è messo in atto dalla compagnia Cricot 2. Il fatto che Kantor sia un attore è fondamentale nella sua opera; spesso infatti era lui stesso a presentare gli eventi sul palcoscenico, scegliendo i punti di vista dai quali poteva intervenire come marionettista e regista. Nel ruolo di demiurgo, Kantor promuove certi aspetti repressi della società, dalla morte ai tabù sessuali, e attraverso i suoi attori li mette in luce e li controlla. Forse questa è la sua più grande conquista: affrontare e ricorrere a tematiche scomode. Aveva bisogno, come spesso affermava, dell’ostacolo del Muro, che poteva abbattere e usare per risvegliare la sua creatività (7).
È morto nel 1990, simbolicamente dopo la caduta della Cortina di Ferro, lavorando in teatro fino alla fine. L’opera di Kantor continua a esercitare oggi grande fascino: in Polonia non è considerato soltanto un modello e una fonte d’ispirazione, ma gli artisti delle nuove generazioni vedono in lui un übervater, una figura paterna. Lo studio del suo lavoro, così come quello di Robert Kusmirowski e Piotr Uklański, a volte scatena polemiche ma, d’altra parte, Kantor è molto apprezzato al di fuori del suo paese natale. Come ha detto l’artista Daniele Buetti: “Kantor ha cambiato totalmente il mio atteggiamento verso l’arte e la produzione artistica”. Molti artisti contemporanei e performer, quali Christian Boltanski, Markus Schinwald, Christoph Schlingensief, ne sono stati influenzati e, nonostante sia stato riconosciuto perlopiù come regista teatrale quando era in vita, il lavoro di Kantor ha suscitato estremo interesse dopo la sua morte, specialmente tra i giovani artisti. Ci si può solo aspettare che i testi di storia dell’arte vengano aggiornati di conseguenza.