Un grande tragico scherzo
Detectives, c’è sempre qualcuno che li informa. Ricevono chiamate, indirizzi, nomi, sì ma da chi? Chi tiene informati i detectives? Come hanno avuto questo indirizzo? Come siamo arrivati a questa porta non me lo ricordo, deve essere stato in ascensore perché da qui non ci sono più scale che salgono. Una porta da ultimo piano, di legno antico. Il tipo che ci apre è un uomo sui settanta con addosso una camicia hawaiana e un kimono, ma non è né un americano, né un giapponese. Si lascia la porta dietro e lo seguiamo dentro un corridoio di cose, cataste di giornali e libri, e sopra ogni catasta una giacca o una camicia. Dei pantaloni sopra un anno di quotidiani, un paio di mutande sopra una ceramica cinese con fiori di ciliegio smaltati sopra. Un’altra con una barca su di un lago circondato da salici. E ancora centinaia di scarpe da uomo, da donna, una dopo l’altra in interminabili file o accatastate in torri sinistre. Poi strane teiere o scarpe, non so decidermi, forse scarpette di ceramica con decorazioni di fiori di loto. Un corridoio di cose, e a destra, e avvolte a sinistra, una porta aperta, su uno scorcio dentro stanze scure, buie, piene ancora di altre cose, vasi, sedie, poltrone e altre cataste di libri, dischi, ancora scarpe, fotografie, forse un’armatura da cavaliere? Difficile dire, da morti l’oscurità non è più luminosa che da vivi.
Non siamo ancora in fondo al corridoio che l’uomo in kimono entra in una delle stanze laterali. Parquet, tappeti, tende, sedie in stile cinese, divanetto diciassettesimo. I detectives si siedono quando lui gli fa cenno, gli offrono la busta con dentro il mio biglietto, quando lui gli fa cenno. Invece che detectives sembrano burattini. Mi siedo anche io, anche se i morti non sono mai stanchi. Neanche i detectives sono stanchi. Siamo arrivati ora, abbiamo passato forse un’ora in macchina seduti, ma l’effetto di una sedia su l’animo umano è inesplicabilmente magnetico. Basta mettere una sedia al centro di una stanza e qualcuno ci si siede anche se non è stanco, come al cinema, come a teatro. Nessuno arriva stanco a teatro, ma è vero che a starci ci si stanca presto.
Il caso dell’uomo senza numeri, ne avrà sentito parlare, dice il rosso. Ritrovato morto nessuno sa come, a terra neanche una traccia di sangue, nessun segno di avvelenamento o malattia, attacco cardiaco, nulla di nulla. Nella casa dov’è stato ritrovato, neanche una traccia alle maniglie. Quella dev’essere stata la donna delle pulizie, dice il magro. Il tipo non ha impronte digitali, continua il rosso, sbiancate all’acido, denti perfetti, la foto del volto è stata messa su tutti i giornali, televisione, social networks, nessuno che lo reclama. O nessuno che ne sente il bisogno, aggiunge lo smilzo. Vestiti, camicia, pantaloni, mutande, senza etichette o taglia, nemmeno il numero delle scarpe. Dovrebbe essere una quarantadue dice lo smilzo. Da un anno, non abbiamo nomi, né numeri, né cause. Fino a questa mattina quando abbiamo trovato questo, e mostrano il biglietto nella busta di plastica. Era piegato dentro una tasca segreta cucita nelle mutande, dice il rosso. Nei pantaloni, lo corregge lo smilzo.
Vi spiace se mi faccio? Dice l’uomo in kimono. No, dicono i detectives. L’uomo in kimono estrae una lunga pipa da oppio da una scatola in legno e avorio, prepara l’oppio e poi comincia lentamente a fumare. Con un gesto offre la pipa ai detectives che fumano anche loro. Nessuno mi offre nulla perché io tanto sono morto, sto già all’altro mondo.
Sulla pipa sono incisi degli elefanti di fumo, ogni elefante in successive volute diventa una figura di nudo di donna. Chi lo ha ucciso ha anche cancellato la sua identità. Consideriamo anche il suicido, aggiunge lo smilzo dopo una boccata di fumo. E siete sicuri che ce l’abbia mai avuta? Chiede l’uomo in kimono. Cosa? Chiede lo smilzo. Un’identità, ripete l’uomo in kimono. Ma oramai le parole hanno echi profondi e identità diventa lentamente entità, poi soltanto età.
Lo smilzo sprofonda la testa sul divano, ribalta gli occhi all’indietro poi li chiude come si assopisse, o entrasse in acqua, un’acqua piena di cloro. Identità ripete, entità, età. Siamo sicuri che ce l’abbia mai avuta? Voi lo sapete bene, dice l’uomo in kimono, tutti hanno un’identità oggi. Ci resta attaccata come una malattia degenerativa, si ha sempre più identità, sempre di più. Sempre di più, ripete lo smilzo. Sempre di più, continua l’uomo in kimono. Facebook, Twitter, LinkedIn, scopa tu che scopo io. Che cos’è? Chiede il rosso. Un sito di incontri, dice lo smilzo con una voce da zombi. L’uomo in kimono annuisce, un sito di incontri, ripete, non avete trovato la sua faccia da nessuna parte? Nessuna, dice il rosso. Nessuno ha il potere di far scomparire un’identità così in un giorno, dice l’uomo in kimono, mentre aggiunge altro oppio alla pipa. Era possibile cinquanta anni fa, non oggi. Oggi tutti hanno una foto da qualche parte. O un numero, aggiunge lo smilzo.
Per la prima volta l’uomo in kimono si mette sotto gli occhi la busta con il mio biglietto, l’ha tenuta appoggiata sul tavolo tutto il tempo. Si rigira la busta tra le dita, poi d’un tratto se la infila in tasca, s’alza e scompare. Dobbiamo seguirlo? chiede lo smilzo. Chi? domanda il rosso.
Attraversamenti
Lo smilzo ripete frasi senza senso, il rosso ha gli occhi fissi su un calendario cinese dove i giorni sono cerchi dentro a cerchi più grandi, dentro un cerchio più grande ancora a forma di serpente. Si passano la pipa anche quando non c’è più niente che ci brucia dentro. Succhiano come bambini da una mamma morta. Aveva ragione Chef, aveva ragione il padre d’Amleto, per ritrovare il tuo assassino puoi contare solo su te tesso. Nel corridoio non c’è nessuno, solo oggetti, uno dopo l’altro, uno sull’atro, a destra come a sinistra e non una luce accesa. Da quando sono morto, tra destra e sinistra o sempre preferito la sinistra, ma ho scelto sempre la destra, perché mi piace il rammarico. Oggi è diverso, ho bisogno di un nome e quell’uomo in kimono se ne è appena andato con qualcosa che potrebbe essere il mio nome, il mio numero, la sola cosa che può dire chi ero, chi sono. Stanze ingombre di cose e ombre si affacciano una dopo l’altra, poi il corridoio d’un tratto curva a destra. Un corridoio di sinistra che curva a destra non annuncia nulla di buono o allora nulla di nulla. Faccio sempre gli stessi errori, mi preoccupo di cosa potrebbe accadermi allora che sono già morto, e se c’è qualcosa che fa paura, quelli sono proprio i fantasmi.
Poi giù in fondo una musica, come una musica ma che dura un istante, quanto un jingle e poi dei passi, e m’aspetto di vedere l’uomo in kimono e invece è una ragazzina. Una ragazzina nuda con addosso solo un paio di mutande, messe male, messe storte. Avrà si e no sedici anni, forse diciassette? Di sicuro sotto il limite di legge per certe cose, ma viene dritta per il corridoio, e quando la gente viene dritta a quel modo può succedere solo una cosa. Quando la gente mi passa attraverso fa solletico. Fa solletico e ho come la sensazione di sentire ciò che pensano, avvolte è solo un’immagine, avvolte una frase. No, non ci ho provato neanche a scansarmi, ma solo perché mi ha preso di sorpresa. Mi è passata attraverso come un vento caldo, prima il ginocchio, poi le labbra, il seno, il sesso, la mano che m’ha volteggiato nello stomaco. Giuro non ho fatto apposta. Il pensiero che mi ha lasciato è gelato alla vaniglia. Poi di nuovo quella musica, il jingle e questa volta, di sorpresa, è l’uomo col kimono. Viene dritto per il corridoio, e allora corro, corro e m’infilo nella prima porta che trovo, perché quando la gente viene avanti dritta così può succedere solo una cosa. La ragazza in mutande gira per la stanza, affonda un cucchiaio in un barattolo di crema gelato, senz’altro vaniglia. Tamam Shud, dice l’uomo in kimono, è una parola persiana, vuol dire questa è la fine. Ha un libro nelle mani, i detective sembrano far fatica a fissarci lo sguardo contro. Le loro teste fanno cerchi nell’aria e dentro i loro piccoli occhi le loro ancora più piccole pupille ruotano ancora più veloci. Come se il libro fosse una ruota, un gatto che insegue un topo, un coniglio in fuga, un mulinello ad acqua, una sfera di fuoco nel cielo, tutto tranne un libro. Insieme con le traiettorie della ragazza nella stanza, tutto deve dargli il volta stomaco. Il biglietto del vostro uomo senza numeri è stato strappato da un libro come questo, dice l’uomo col kimono, stessa edizione. Poi fa quello che mi aspettavo avrebbe fatto. Apre il libro all’ultima pagina, e lì in fondo stampato nero su bianco c’è scritto Tamam Shud. Questa è la fine. Con le loro facce lunghe, le teste come ruote di un mulino e la pipa secca tra le mani, neanche loro, i detectives, si aspettavano tanto. Poi il rosso, a forza di girare in tondo la testa, vomita, e vomita anche lo smilzo. La ragazza in mutande dice semplicemente, merda. L’uomo in kimono accende un’altra pipa.
La libreria
Devi essere pronto quando muori, dice l’uomo in kimono mentre fa passare la pipa. Non ricordo più da quanto tempo siamo qui, siamo qui da così tanto tempo che il mio caso potrebbe essere un caso chiuso tanto non interessa più neanche a me. Dove hanno vomitato i detectives non c’è più traccia. Chi ha pulito? Non me ne ricordo.
Devi essere pronto quando muori, e non è qualcosa che ti prende mesi e mesi di preparazione, no, ti prende tutta la tua vita, le decisioni che prendi al momento della morte devono essere prese in meno di un secondo, continua l’uomo in kimono, il momento in cui muori è come quando vai in una libreria. Che libreria? chiede lo smilzo. Già, che libreria, chiede anche la ragazza. Una libreria, continua l’uomo in kimono. Tu vai in una libreria e ci sono libri, centinaia di libri dalla A alla Z, centinaia di migliaia di milioni di libri e tu vorresti comprarli tutti, ma non hai il tempo, e non perché la libreria sta chiudendo ma perché la libreria è solo una metafora, e tu stai morendo. Stai morendo e hai bisogno di libri. Perché? chiede il rosso come innervosito. Sto morendo cazzo. Che cazzo ci vado a fare in una libreria? Vado in un ospedale, non in libreria. Perché nessuno chiama un’ambulanza? È una metafora, dice lo smilzo. Perché qualcosa in quei libri deve contenere l’essenza della vita, continua l’uomo in kimono. Forse in questo libro c’è il segreto della vita? Forse in quest’altro libro c’è il segreto della vita? Forse in questo libro c’è il segreto della vita ti dici, perché tu pensi che in quelle cento, duecento, seicento pagine deve nascondersi il segreto della vita. Ma tu non hai il tempo di leggere seicento pagine, grida d’un tratto l’uomo in kimono al rosso, perché tu stai morendo e allora compra un libro di poesie. Haiku! Perché quelli sono gli unici libri che puoi permetterti. Poi l’uomo in kimono si fa più calmo. E ora questi libri devi pure pagarli, e allora tu vai, vai con tutti i tuoi libri sotto braccio, e quando arrivi alla cassa e dai la tua carta di credito, il pagamento non è accettato. Credito rifiutato dice la macchinetta, credito rifiutato dice la ragazza con gli occhiali, perché chi mai farebbe credito a un uomo che muore? Nel momento in cui muori, continua l’uomo in kimono, nessuno ti fa credito. Il pagamento non è accettato, il credito è rifiutato. Che ci fai con questi libri adesso? chiede l’uomo in kimono al rosso. Il rosso si alza dalla poltrona visibilmente irritato, vaffanculo dice, poi si riaccascia subito. Io credo che a questo punto ti restano solo due scelte dice l’uomo in kimono e il rosso sembra farsi più attento che mai. O dici a te stesso che non hai bisogno di questi libri, e che la vita è la vita per tutti, e che se un sapere universale, una conoscenza ultima può essere spremuta dall’esperienza della vita, allora tu puoi farlo tanto quanto Platone, Aristotele o Virgilio. Perché la vita è la vita per tutti, e tu, tu ne hai vissuta una. E questo ultimo sapere universale può essere spremuto via da chiunque, tu, un poeta, uno scrittore, una filosofia. Non hai bisogni di libri. Giusto dice il rosso. Strano, dici alla ragazza con gli occhiali, proprio strano che la mia carta non funziona gli dici. Forse arrossisci un poco, la situazione è imbarazzante, e chiedi c’è una banca da queste parti? Ritiro un po’ di moneta e torno, dici. Ma lo sai che non tornerai perché stai morendo. E allora o lasci i tuoi libri lì e vai ad affrontare la morte con quello che hai, o paghi con la carta di credito di qualcun altro. E questo è tutto ciò che c’è da dire sull’omicidio.
Nella morte dell’altro tu vedi la morte di te stesso, continua l’uomo in kimono, ma non sta a te pagare. Si uccide per vedere sé stessi morire e sopravvivere. Il vostro uomo senza numeri ha trovato una terza via, si è portato via un pezzo del libro senza pagare. E lo hanno ammazzato per questo? Chiede il rosso. È una metafora ripete lo smilzo. È una cazzata filosofica dice il rosso. Una cosa è vera dice la ragazza in mutande, nessuno fa credito a uno che muore. Dipende, dice il rosso, dipende da cosa lascia. Lo avete trovato in una casa, dice l’uomo in kimono, di chi è la casa e chi paga la donna delle pulizie? Lascia perdere, dice lo smilzo al rosso, non ci crederanno mai neanche se glielo dici.
Evoluzione della specie
Tutto è intestato a un morto, uno che ha lasciato disposizione di intrattenere la casa in modo impeccabile, come un museo. Il rosso succhia ancora a vuoto dalla pipa. Non c’è niente da bere? la donna lavora lì da dieci anni pagata da un morto, aggiunge lo smilzo. Potrebbe lavorarci altri cento anni secondo l’agenzia. Che agenzia, chiede la ragazza in mutande. L’agenzia, dice il rosso. Ma voi siete davvero detectives? Detectives, dice lo smilzo, sicuro, detectives.
Il rosso ha tirato fuori il telefono e fa foto alle pagine del libro. Rubayat, un antico testo persiano, dice l’uomo in kimono, mentre prepara un’altra pipa, è stato scritto all’incirca mille anni fa. Che c’è scritto? Chiede lo smilzo. Niente, dice l’uomo in kimono. Pensa siamo troppo stronzi per capire, dice lo smilzo. O troppo scemi, dice il rosso.
Che effetto fa avere tutta la propria vita in mano a due detectives intossicati d’oppio, il loro dealer in camicia hawaiana e kimono, bombato di dopamina e una ragazzetta che lecca il tappo di un barattolo di gelato alla vaniglia? Tutto ciò che ero, ciò che sono, il motivo della mia morte e pure il nome del mio assassino potrebbero stare dentro quel libro, tra quelle pagine, e loro se ne stanno lì a ciucciare da una pipa e giocare a chi è più stronzo. Perché hai morti è dato da vedere tutto questo allora che sono già all’inferno? Perché non l’oblio, il vero oblio? Siete sicuri che sia morto? Chiede l’uomo in kimono. Chi? Chiedono i detectives? Ma l’uomo senza numeri. Se non era morto prima lo ha ammazzato Chef. Chi è Chef? Chiede l’uomo in kimono. Morto è morto dice il rosso, trattenendo per un attimo lo sguardo fisso sulla pipa. Dove sono finiti gli elefanti? Chiede. Che elefanti? Dice lo smilzo. Qui dove ci sono i babbuini, c’erano disegnati elefanti prima, col fumo che faceva culi e tette di donne. Lo smilzo scrolla le spalle. Avete pensato che era morto, continua l’uomo in kimono, perché è la cosa più semplice da pensare quando si trova un cadavere. Siamo proprio degli idioti, dice il rosso. Ci sono molte altri modi di perdere l’anima, dice l’uomo in kimono. I monaci tibetani per esempio non muoiono, dice la ragazza in mutande, il corpo muore ma loro continuano a meditare. Come lo yogurt dice lo smilzo, lo yogurt, dice ancora, fissando il rosso con occhi piccoli come due spilli. Lo yogurt pensi sia morto e invece è pieno di batteri. Batteri, ripete il rosso. Batteri vivi, dice lo smilzo, che si muovono anche dopo che te li sei mangiati. Lo yogurt, ripete il rosso. Lo yogurt, ripete lo smilzo. Quest’ultimo sforzo di intelligenza deve averlo stremato, perché esala un profondo respiro e poi ricade all’indietro sul divano. Gli occhi gli si chiudono senza più riaprirsi. Il rosso lo osserva come aspettasse un’altra ultima profonda rivelazione, ma la rivelazione non arriva. S’è fatto tardi, dice il rosso, e lo dice come se fosse troppo tardi anche solo per andarsene da dove erano venuti, così invece di alzarsi scivola dolcemente sul pavimento. Il corpo sembra spalmarsi ovunque come una chiazza d’olio. Da terra, volta lentamente lo sguardo al suo collega sul divano, non dimenticarti di respirare gli dice in un filo di voce, poi anche a lui gli chiude si chiudono. La ragazza in mutande prende il libro, lo sfoglia, sceglie una pagina e legge. L’uomo in kimono le ficca una mano nel sedere, dentro le mutande e ascolta.
Myself when young did eagerly frequent
Doctor and Saint, and heard great argument
About it and about: but evermore
Came out by the same door where in I went.
With them the seed of Wisdom did I sow,
And with mine own hand wrought to make it grow;
And this was all the Harvest that I reap’d–
“I came like Water, and like Wind I go.”