Calvin Tomkins scriveva, a proposito di Robert Rauschenberg in The Bride and The Bachelors, che da parte dell’artista vi è sempre un rispetto dell’integrità degli oggetti che esalta il loro valore formale tanto che giungono relativamente intatti, ricchi delle sfumature della loro vita nel mondo reale prima di iniziare quella successiva in quanto opere d’arte. E che, nei suoi lavori migliori, “appaiono miracolosamente giusti in quel contesto”.
Nella mostra “Unmonumental: The Object In The 21st Century”, che inaugura a New York la nuova sede del New Museum of Contemporary Art lungo la Bowery e rappresenta il primo appuntamento di un progetto in quattro parti che proseguirà fino a marzo, i lavori di maggiore impatto fanno ripensare alle parole di Tomkins. Gli oggetti che costituiscono queste opere hanno una forza espressiva per le loro caratteristiche intrinseche e diventano “facilmente” opera d’arte.
Al centro dell’idea curatoriale della mostra, ad opera della brillante triade composta da Richard Flood, Massimiliano Gioni e Laura Hoptman, l’intento è quello di presentare un saggio significativo dell’arte contemporanea del momento, in particolare nell’ambito dello “sculptural assemblage”. In mostra ottanta lavori di una trentina di artisti, per la maggior parte americani ed europei, installati sui tre piani del museo. In veste di nipotini di Rauschenberg e di una tradizione che risale fino al Costruttivismo russo, vi sono “celebrità” quali Isa Genzken, Manfred Pernice, John Bock, Jim Lambie e Sarah Lucas, oltre ad artisti emergenti.
Se da un lato la scultura in mostra esprime la pregnanza dell’“oggetto” nel nostro tempo, dall’altra decostruisce l’idea del monumento e delle icone, mette in discussione gli ideali e frantuma la statualità. Certamente appropriata per il nostro tempo.
Colpisce l’arco di sedie sovrapposte intitolato Myth Monolith (Liberation Movement) del 2007 di Marc André Robinson, o la spada nella roccia (in realtà un blocco di terreno che sembra sgretolarsi da tutte le parti) di Urs Fischer, che ha avuto in contemporanea fino a fine dicembre una eccellente personale con l’installazione di un vero e proprio cratere da Gavin Brown’s Enterprise. Come colpisce Shinique Smith con i suoi monoliti di vestiti assemblati, anche lei presente in una recente personale presso la Moti Hasson Gallery con un tocco d’ironia in più; o il grappolo gigante di boe di Abraham Cruzvillegas, intitolato Canone enigmatico; Fuck Destiny, il divano di velluto trapassato dal neon di Sarah Lucas; Bed Head, il materasso completamente ricoperto di bottoni colorati cuciti di Jim Lambie, e The Wreck, di Elliot Hundley, una colonna dorica alla deriva, tra oggetti che evocano dei relitti e fiori colorati che iniziano, lentamente, a rinascere.
La mostra, nonostante il percorso espositivo a tratti un po’ caotico, è frutto di un lavoro intelligente e approfondito, e costituisce una sferzata tonificante in linea con la tradizione del museo che fa ben sperare nel futuro dell’arte e delle istituzioni cittadine.