Con la sua fotografia che da documentaristica diventa filmica, Tobias Zielony è nella rosa di artisti scelti da Florian Ebner per rappresentare la Germania alla Biennale di Venezia. Che siano immagini scattate con una reflex digitale e montate come installazioni in cui il tempo precipita o rallenta, o video proiettati su schermi di tv a tubo catodico con il sonoro di un’interferenza, coordinate fondamentali dei lavori di Zielony sono il racconto obiettivo di situazioni limite del vivere ai margini della società e l’ironia, che preserva autore e spettatore da un eccessivo coinvolgimento emotivo evidenziando però, allo stesso tempo, tutta la crudeltà di certe condizioni di vita.
Fuani Marino: Il lavoro presentato nel Padiglione della Germania è dedicato ai rifugiati politici. Cosa lo ha ispirato in particolare?
Tobias Zielony: Si tratta di un progetto dedicato a quei rifugiati che in Germania hanno creato un movimento politico molto forte, combattendo per i propri diritti e cercando di superare politiche di immigrazione e di asilo spesso ingiuste e razziste.
FM: Non è la prima volta che racconti e per certi versi denunci la marginalità e il nostro modo di rapportarci a essa. L’arte ha per te anche un ruolo sociale?
TZ: Un aspetto grandioso dell’arte è la sua capacità di esistere ed essere al di là del senso e del significato. Ma cosa accadrebbe se il mondo smettesse di avere senso e significato? Cosa intendiamo per “realtà sociale” e qual è il ruolo dell’arte oggi? Probabilmente l’arte non è altro che un buon modo di relazionarci al mondo che esplode davanti ai nostri occhi. Così come la politica ha a che fare con il modo giusto in cui un gruppo deve o dovrebbe comportarsi. Anche se noi abbiamo bisogno di altro rispetto all’arte per sopravvivere, non trovo esista più una distinzione così netta fra le due cose.
FM: E l’interesse per l’adolescenza, che hai indagato in diversi contesti geografici e culturali, da dove nasce?
TZ: L’adolescenza non è la tematica principale del mio lavoro, né lo è mai stata. I giovani che ho fotografato in diverse occasioni erano solo i protagonisti di alcuni tipi di ruoli, giochi o storie che si sviluppano senza un epilogo o una narrazione precisa. Sono interessato alla relazione tra la vita di tutti i giorni e il teatro o il cinema, non alle prime esperienze sessuali.
FM: Recentemente hai dichiarato che “i sogni sono importanti quanto la vita. Se parli della realtà, allora devi parlare anche del sogno”. Nella tua opera quanta parte giocano rispettivamente il reale e l’illusione?
TZ: Le immagini e l’immaginazione rappresentano una parte sempre più consistente del quotidiano. Trovo che non sia più possibile distinguere tra una realtà concreta e l’immaginazione. La video artista Hito Steyerl, invitata con me a rappresentare la Germania, mi ha detto recentemente: “Le macchine non documentano più il presente. Si proiettano nel futuro”. Penso abbia voluto riferirsi alla luce. Oggi possediamo macchine e strumenti che emanano luce e immagini piuttosto che registrarle e basta.
FM: La luce è infatti uno degli elementi che sembra caratterizzare le tue opere fotografiche e filmiche da un punto di vista formale. Ma anche il tempo, che grazie all’artificio dello stop-motion scorre spesso con un ritmo diverso da quello reale, riveste un ruolo molto importante…
TZ: Ho scoperto la foto animazione tratta da singole immagini digitali a Napoli per il mio lavoro video, Vele. La velocità con la quale le figure sono registrate non è la stessa con cui sono assemblate come un film. Talvolta vanno più veloci, altre più lente rispetto al ritmo del tempo reale, altre ancora è impossibile stabilirlo con chiarezza. Attraverso l’immagine in movimento evito l’illusione perfetta di un film con 25 immagini al secondo. La mia animazione spezzetta e mescola, mostrando infine la realtà costruita delle immagini filmiche. In un certo senso resto un fotografo pur realizzando film.