Incontro Tony Fiorentino un pomeriggio in cui ha appena smesso di piovere. Anche se c’è un filo di nebbia ci riconosciamo all’istante. Mi dice subito che non ama le domande e così accetto di scrivere un testo. È molto difficile collocare il suo lavoro, che spazia dal video alla scultura (ha frequentato l’Accademia di Belle Arti a Carrara), dalla fotografia all’installazione e alla performance, muovendosi lungo i sentieri spesso impervi della sperimentazione. Partendo da padri illustri come Albrecht Dürer, Baudelaire e gli artisti dell’Arte Povera, Fiorentino dà vita a un linguaggio in cui una personale archeologia si mescola a esperimenti alchemici suggestivi e misteriosi, conditi con il fascino per la psicoanalisi e lo studio degli elementi chimici. È però il concetto di Melancholia a dominare uno dei suoi lavori più emblematici: Dominium Melancholiae. Nato nel 2013 da una suggestione fornita da un’incisione del Dürer del 1514, in questo lavoro ritroviamo diversi simboli legati al mondo all’esoterismo e alle difficoltà incontrate nel tentativo di tramutare il piombo in oro. Tony Fiorentino mette in scena un vero e proprio esperimento scientifico-alchemico immergendo fogli di zinco in ampolle contenenti acqua distillata a cui è stato aggiunto acetato di piombo: da qui prende vita l’albero di Saturno (ovvero il pianeta associato alla malinconia), una vegetazione chimica caratterizzata da delicate ramificazioni plumbee, come il colore della bile nera teorizzata da Ippocrate, il padre della medicina. Dominium Melancholie è un progetto in cui la fragilità dell’esistenza, rappresentata dalle ampolle di cristallo, si rivela in tutta la sua carica oscura, manifestandosi come una struttura fluttuante e in continua mutazione — come la vita. L’artista tenta di dare una forma, un colore e una sostanza a uno stato d’animo, muovendosi su quel labile confine arte-vita, come si evince in un altro lavoro, Box for Standing del 2012, in cui l’artista colloca in uno spazio pubblico e per un’intera giornata, un contenitore di legno a grandezza naturale chiuso ermeticamente con un lucchetto, che contiene i suoi effetti personali. La personalità dell’artista diviene un’entità anonima e distante, eppure un luogo di osservazione privilegiato da cui possono scaturire riflessioni. Come per esempio la casualità della vita, che l’uomo affronta collocando il rito all’interno della sua esistenza: Candle (2012), è una candela di ghiaccio che si scioglie all’aria, dissolvendosi come un cubetto di ghiaccio in una giornata estiva. Nella stessa direzione si colloca Untitled, un’installazione composta da un sacco di juta colmo di candele votive consumate che l’artista ha raccolto in varie chiese: l’obbiettivo è raccoglierle per riciclarle e crearne di nuove. Il rituale si distacca dalla sfera del sacro per divenire un atto non collettivo ma personale, una “crisi della presenza” che trova la sua via di espiazione nel riciclo della materia. In I Like An Arch, 2013, Fiorentino utilizza elementi di marmo recuperati dai lavori di restauro del Duomo di Milano assemblandoli in una personale scultura che “reinventa” il concetto stesso di creazione, dando dignità al materiale di scarto che rivive di nuova vita. L’arte diventa un fantasma.
14 Luglio 2015, 11:14 am CET
Antonio Fiorentino di Daniela Ambrosio
di Daniela Ambrosio 14 Luglio 2015Tony Fiorentino è nato nel 1987 a Barletta. Vive e lavora a Milano
Altri articoli di
Julio Le Parc
Julio Le Parc, apparso come una meteora nell’arte di ricerca emersa con le “Nuove Tendenze”, mostra epocale ideata da Almir…
Raša Todosijević
Nataša Vasiljević : Con le tue performance e i testi critici degli anni Settanta interroghi in prima persona il valore e…
Kaari Upson
Douglas Fogle: Per quanto riguarda i materassi… Kaari Upson: Li ho visti come un intervallo, un progetto tra due…
Lettera a Sara
Ciao Sara, grazie al tuo sguardo capirai il senso tra le righe di questa lettera. Vorrei parlarti di quando ho…