Maurizio Cattelan: Ne è passato di tempo dall’ultima volta, mi ricordi le regole?
Tony Lewis: Estrai sette lettere e prova a organizzarle su una tavola da gioco, componendo parole di senso compiuto. È importante prestare attenzione ai punti attribuiti a ogni lettera, scritti nell’angolo di destra di ciascuna tessera di legno. Il punteggio complessivo viene determinato sia dalla complessità della parola che dai punti segnati sulle caselle della plancia in cui disporre le tessere. Ogni tessera giocata deve essere sostituita con una nuova, pescata dal sacchetto. Mi raccomando, cerca di sfruttare le parole già presenti sulla tavola da gioco per costruire le tue.
Inizio del gioco: Lewis 0, Cattelan 0
M.C.: Ora mi ricordo. Com’è Chicago? (cry, 16).
T.L.: È stata la mia casa per circa sei anni. Chicago è come un gigante assopito. Ripensandoci mi provoca un sentimento di tristezza, ma sicuramente è un luogo pacifico per riflettere e creare. (yo and oy, 12).
M.C.: Perchè pensare a Chicago ti procura tristezza? Cosa ti viene alla mente? (clits, 8).
T.L.: Pensavo ai recenti episodi di violenza tra la popolazione di colore e le forze di polizia.
Io, da artista, cerco comunque di dedicarmi al mio lavoro. La continua ricerca di nuove soluzioni per i miei disegni, resta il mio obiettivo primario.
Credo che per adattarsi alla città occorra lasciarsi trasportare da un ritmo naturale, un caos. È difficile che gli oggetti, i materiali, i disegni siano completamente autonomi e che non si contamino l’un l’altro. E’ quello che mi è successo quando libbre di polvere di graffite sono diventate parte integrante dello studio. Quattro anni fa, quando ho avviato questo tipo di ricerca, ho instaurato una sorta di conflitto tra la pulizia, la sicurezza e la legittimità del segno e delle macchie. Ho trovato un terreno fertile di lavoro nell’oscillazione costante nel tempo, nell’accumulo di residui e nel gioco dell’improvvisazione, spesso utile a risolvere numerosi problemi spaziali. Conferisco inoltre massima importanza al pavimento, una sorta di zona franca di pace che è in grado di fermare ciò che è sfuggente, con un carattere quasi spietato. La fuliggine scura, “contagiosa”, che uso nelle mie opere mi aiuta a cancellare anche la sterilità insipida dell’atelier, a mio parere totalmente inefficace. (tee, 8).
M.C.: Senti di aver bisogno di purificare te stesso dal mondo, prima di realizzare un’opera? (mends, 16).
T.L.: In un certo senso, nel mio studio riesco a operare senza alcuna distrazione. (tees e score, 20).
Punteggio aggiornato: Lewis 40, Cattelan 40
M.C.: Parlami dei disegni testuali al Museo Marino Marini (we e wo, 26).
T.L.: Stavo scrivendo sul mio scorso lavoro e continuavo a inciampare su alcune parole. Così ho incominciato a costruire una dichiarazione socio-politica per aforismi, che in seguito è diventata la base linguistica e formale su cui ha preso vita un intero ciclo di opere. I disegni testuali al Museo Marino Marini sono opere recenti che provengono da questo progetto, avviato cinque anni fa. (rage, 20)
M.C.: Non c’è molto su cui discutere. Cosa è questa dichiarazione? (scored e mood, 29).
T.L.: La dichiarazione è “Persone… [revisione]…. persone”. Si tratta di una frase corretta dal punto di vista grammaticale. Sono circa sessanta caratteri, disposti in cinque linee di testo, che occupano tavole di 84 pollici per 60. Le lettere sono selezionate a seconda della mia sensibilità. Ad esempio, se sono interessato a spingere il linguaggio alla sua origine, arrivando alla mera percezione, uso allora un particolare gruppo di lettere per realizzare un disegno. Se invece ho intenzione di riferirmi al colore rosso, ai cittadini del Colorado, oppure alla controversa bevanda energizzante Four Loko, utilizzo un’altra combinazione di lettere che possano divenire parte integrante del disegno.
A volte mi sorprendo a parlare di tutto ciò che mi viene in mente, forse per compensare il mio vocabolario ristretto. È come avere accesso a un terzo del dizionario, o a un quarto dell’alfabeto. Sento che oggi ci sia il disperato bisogno di parlare di odio, Pope.L, di amore, degli Oreo, di famiglia, della lista di verbi di Richard Serra, delle Pantere Nere, dello humor, Kid Cudi, dei Simpson, di te Maurizio, della morte, e di altre innumerevoli tematiche. (goo, 8)
M.C.: Perchè il mio nome è inserito tra i Simpson e la morte e, ancora più importante, come riesci a conciliare la serietà di un argomento come le Pantere Nere, con l’apparente giocosità e leggerezza del cibo spazzatura? (join, 22)
T.L.: Ti risponderei dicendo che tutti questi stimoli sono come una sorta di nutrimento per la mia arte: dalla storia della rivoluzione afroamericana al cibo spazzatura.
La serie di disegni in questione è incentrata sull’origine delle parole e su che cosa possa essere appreso a livello percettivo.
È molto simile a come ho imparato a conoscere alcuni aspetti di me stesso e del mondo circostante. Si tratta di un processo avviato in giovane età, in cui i pregiudizi sono andati a sommarsi a elementi più legati alla mia sensibilità. C’è un’innegabile proiezione di me stesso nelle mie opere. I soggetti di questo progetto hanno diversi livelli di significato. (goop e rap, 22)
M.C.: Posso capire. (Plinth, 28)
T.L.: Grazie a dio (Waxer, 42)
Punteggio aggiornato: Lewis 132 , Cattelan 125
M.C.: Parlando del pavimento dell’atelier ti sei soffermato sulla proprietà di trattenere il residuo ed afferrare ciò che è sfuggente, tipica di questa superficie. Potresti soffermarti sull’importanza che ha nel tuo lavoro? (za and zoned, 56)
T.L.: Il pavimento è uno degli elementi spaziali più potenti del mio atelier. È lì che l’opera viene realizzata e poi conservata, consentendomi di mantenere una sorta di controllo sull’opera d’arte. Tra l’altro, il pavimento è rimasto immutato anche durante la trasformazione del mio modo di operare, che in un primo tempo ho cercato di allontanare. L’atelier, da uno spazio sterile in cui venivano prodotti disegni immacolati, è divenuto un ambiente che oggi propone il rischio come un qualcosa di benefico e salvifico. (ah, xi, hi, 21).
M.C.: Allontanare? (ha, ag, 16).
T.L.: Ho iniziato a lavorare con la polvere di graffite durante i miei studi. La trasformazione dell’atelier è avvenuta allora, con un effetto immediato sui problemi pratici della mia formazione artistica.
Un giorno ho perso il controllo sulla polvere di graffite che, uscendo dallo studio, si è diffusa in tutto il quartiere. Qualche vicino è scivolato sulla fuliggine, mentre altri si sono lamentati riguardo la qualità dell’aria. Ho avuto un incontro con il dipartimento di pittura e il servizio parentale della scuola, che mi ha posto un veto sull’impiego del materiale in quel modo. Ho dovuto ripulire tutto ma, purtroppo, l’evento è accaduto altre due volte. Mi hanno allora invitato a firmare un contratto in cui mi si proibiva l’utilizzo di non più di quattro once di polvere di graffite per il resto del mio ultimo anno.
Capisco la necessità di imporre un limite, ma così facendo è andata a mancare la parte vitale dell’opera. È da allora che ho iniziato a interpretare il pavimento come piattaforma per il disegno. (joint, 12).
Punteggio Finale: Lewis 509, Cattelan 453.