Tracey Emin torna a Roma con una personale dedicata alla sua recente produzione pittorica in cui eventi traumatici accaduti in gioventù dialogano con un forte sentimento di perdita, causato in primis dalla morte della madre nel 2016. A questo si aggiunge un rinnovato interesse verso alcuni maestri della storia dell’arte grazie a mostre quali “Where I Want to Go” al Leopold Museum di Vienna (2016) in cui Emin ha esposto insieme ai lavori di Egon Schiele presenti nella collezione del museo o alla recente “La peur d’aimer” al Musée D’Orsay in cui l’artista ha selezionato trenta disegni di autori con cui confrontarsi, da Bonnard a Degas.
Se la serie di piccole gouche su carta in mostra da Lorcan O’Neill rimandano proprio all’esposizione parigina, i restanti grandi dipinti (tutti acrilici su tela) contengono elementi biografici dell’artista quali le gravidanze interrotte in You Came (2018) o la città sull’estrema costa Est dell’Inghilterra dove è cresciuta – Margate –, attraverso una pittura in cui lo stile espressivo, rabbioso e schietto si unisce, in alcuni casi, a frammenti di scrittura diaristica così rappresentativa di tutta la sua produzione. Questa parte testuale, assieme alle velature pittoriche che erodono o accentuano i soggetti mnemonici rappresentati, ha in alcuni casi un sapore consapevolmente “romano” come quando la scritta sembra essere incisa su stucco in You did This to me (2019) o cancellata, alla Cy Twombly, in What I could Have Been (2019).
“Leaving” è il titolo che accomuna questa serie di opere in una accezione, quella dell’andar via, che non ha connotazioni negative poiché nasce dalla consapevolezza di Emin di essere entrata in una nuova fase della vita in cui, anche a seguito di una serie di lutti, ha sentito l’esigenza di far ritorno a Margate, la stessa città dalla quale scappò in gioventù. I pregiudizi e gli insulti che le venivano rivolti si trasformano oggi in echi sonori oramai quasi innocui (il testo di You did This to me, ripetuto, sembra intonare una filastrocca) testimoni di un nuovo conforto che l’artista sembra finalmente provare nella certezza crepuscolare del presente, in attesa di andar via per sempre.