Prima di essere una mostra tout court, “Transitions” si presenta anzitutto come progetto che riflette sulla pittura contemporanea attraverso la visione di una famiglia di collezionisti e della loro fondazione. Con il sottotitolo “Painting at the (other) end of art” la Collezione Maramotti espone un inedito corpus di trenta opere realizzate nell’arco dell’ultimo decennio e acquisite selezionando ventuno artisti di varie nazionalità, il cui unico comune denominatore è il contesto di lavoro (la città di New York). Il riferimento non è casuale o secondario, New York è scelta per il suo ruolo di attivatore perenne di nuove istanze, dove avere una visione panottica sulle contaminazioni tra pittura, nuovi media e pratiche artistiche altre.
Pedro Barbeito, Will Cotton, Ann Craven, Jules de Balincourt, Benjamin Degen, Bart Domburg, Lalla Essaydi, Wayne Gonzales, Kent Henricksen, Matthew Day Jackson, Jutta Koether, Damian Loeb, Enoc Perez, Daniel Rich, Lisa Ruyter, Dana Schutz, Jessica Stockholder, John Tremblay, Kelley Walker, Dan Walsh e Kevin Zucker sono gli artisti individuati a modello dell’extraterritorialità della pittura verso modalità non solo iconografiche ed estetiche, ma prima di tutto concettuali e linguistiche.
La cultura, la società e la storia sono i temi centrali di questo orizzonte pittorico e rivelano l’attitudine degli artisti a non uscire dalla bidimensionalità del quadro ma a lavorare più strettamente sulla natura delle immagini in relazione al presente e al declino della modernità. Fanno eccezione l’installazione Four Gummed-Up bits of a Crepe Sole… (2005) di Jessica Stockholder — dove la pittura esce dai propri confini bidimensionali sviluppandosi in un anarchismo spaziale e inglobando objet trouvé — e il lavoro Oracle (Days of Future Passed) (2005-06) di Matthew Day Jackson, dove i linguaggi classici della pittura e della scultura sono reinventati attraverso il collage di diversi materiali sulla tela e il ready-made di oggetti naturali.
Temi sociali sono sviluppati in chiave simbolica e letteraria dalla marocchina Lalla Essaydi nel dipinto Threshold (2004): se l’impianto iconografico dichiara un tributo alla pittura seducente di Delacroix e ai quadri orientalisti, l’artista rompe gli indugi accademici e politically correct ritraendo un nudo maschile ermafrodito sdraiato nella classica posa dell’odalisca. Il corpo contrasta fortemente con l’ambiente raffigurato e con le iscrizioni islamiche dipinte sui muri della camera, creando un cortocircuito tra modelli occidentali nell’arte e nel costume e la condizione della donna araba nella cultura mediorientale.
L’ibridazione con le pratiche dei nuovi media è messa in atto in modo magistrale da Kevin Zucker nel dipinto Historical Fiction, Self-Help, Current Events (2004), che ritrae un interno dalle architetture mobili, dalle finte librerie e dai volumi geometrizzanti. Disegnata prima al computer, stampata su fogli di carta carbone e infine trasferita a ricalco su tela, l’immagine propone uno spazio mentale di contemplazione sulla smaterializzazione dei luoghi.