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24 Marzo 2017, 6:20 pm CET

Etc. di Fabio Mauri

di Fabio Mauri 24 Marzo 2017
Etc (2009). Fotografia di Claudio Martinez. Courtesy Studio Fabio Mauri.
Etc (2009). Fotografia di Claudio Martinez. Courtesy Studio Fabio Mauri.
Etc (2009). Fotografia di Claudio Martinez. Courtesy Studio Fabio Mauri.

Etcetera è, forse, l’ultima parola che si usa dire o scrivere, dopo aver cercato tutta la vita di dire, rappresentare o scrivere qualcosa.

Etc., abbreviata, etc. come se dovessi averla scritta oggi, da qualche parte…

Nella mia vita di artista, insegnante, autore, editore e distributore, ho sempre lavorato al servizio della parola scritta per la sua diffusione, o transumanza nell’arte.

La parola scritta, non diffusa è condannata dalla sua stessa superba struttura (carta e rilegatura), e dalla sua cornice contenitore (lo scaffale), a un isolamento totale.

Gli eventi si svolgono, ma le chiavi della loro comprensione restano inermi, isolate. Lo scaffale, lui stesso opera d’ingegno, d’amore, di eleganza. È opera soprattutto consolatoria per la vita del libro stesso. Elementi confortanti, che permettono alle coscienze di lasciare la parola scritta da parte, lì in sospeso, in attesa di un’energia che ci faccia salire qualche gradino e che ci induca con curiosità a porci delle domande, che sappia scegliere cosa leggere, prelevando dallo scaffale un libro, sino a quel momento comodamente riposto, leggerlo e coglierne il senso.

I fenomeni che hanno accompagnato la mia vita per lo più emergono dalle cose e dagli scritti che ho letto, o aiutato a editare, o scritto io stesso. Come nell’arte, anche nella parola scritta vi sono contenute rivelazioni personali, segrete ai più, inaccessibili a volte a noi stessi.

Anticipano gli eventi nella loro conclamazione successiva. Rivelare a cominciare da sé, per sé, il non immediatamente comprensibile.

Il pensiero scritto è, esiste in sé, materico come una montagna, ma si rivelerà come tale solo se letto.

Così cambia il DNA culturale dell’individuo, nella sua stessa vita. Weltanschauung, una visione propria, personale, soggettiva del tutto.

Una visione Cattolica? Ebraica? Una visione Confuciana?

Gli Zerbini, da calpestare, quasi come un’ultima spiaggia. Stesi all’entrata della Galleria Rizzo, calpestati sino a scomparire. Sopravviveranno le parole, i concetti, le rielaborazioni o interpretazioni degli stessi avventori, passanti; sopravviverà la memoria della parola calpestata come evento.

Spesso occorre tempo per realizzare appieno il significato dell’incisività di una parola, graffiata, scolpita, su un muro appena rifatto.

Fabio Mauri ritratto da Elisabetta Catalano nel 1972.
Fabio Mauri ritratto da Elisabetta Catalano nel 1972.

Alcune parole valgono per loro stesse, al di fuori di un contesto letterario. Nella mia opera sento il bisogno di scoprirle, di dare loro il massimo rilievo possibile, ma soprattutto dar loro un peso specifico, aiutato dalla consistenza dei materiali e dal segno scalfito.

Scrivere parole leggibili, comprensibili, significanti per l’uomo.

Alcune parole chiave dell’esistenza dovranno essere scritte e costruite nello spazio, in grandissime dimensioni.

Un estremo appello alla lettura, come un’ultima spiaggia con parole scritte sulla sabbia, affidato all’incertezza del passo, reso instabile dalla scritta che non accompagna il piede in una superficie costante.

Le librerie, ammasso di libri che rendono da sempre lo scritto prigioniero della sua incoronazione. Preziose librerie, libri ancor più preziosi, messe in bilico, in un fragile equilibrio, in un luogo inadatto, all’entrata sulle ripide scale della galleria. In salita e in discesa, ma mai in piano.

La Parola scritta si rivela, inizia ed esiste solo se viene letta.

Lì inizia la sua avventura nel pensiero; con essa la filosofia è entrata nel DNA dei tempi.

Dagli scaffali, dai volumi stessi, emergono materie riconoscibili, anche tute futuriste, come se ogni movimento e submovimento fossero prima stati scritti e descritti, e solo molto tempo dopo anche realizzati, e dall’arte figurativa resi visibili, riscontrabili.

Dare valore alla parola, anche a una sola disperata parola, di cui si ha un estremo bisogno di inciderla, di scolpirla su un muro appena rifatto e offrirle la monumentalità del muro stesso come valore aggiunto.

I quadri esposti mostrano le immagini che accompagnano questo pensiero. Quadri come fantasmi vivi della memoria comune, immagini anch’esse evocate dalla letteratura, dalla storia e dal costume.

Le immagini di un’iconografia che sorge dalla memoria, dalla visione militante di un mondo che è scorso parallelo con i suoi grandi e drammatici eventi. Sorgono, spuntano come un effetto speciale, come in un sipario che racconta di quel filo sottile che ha sempre legato la storia, il costume e l’arte, in ogni momento della società.        

Testo raccolto da Achille Mauri da una videoconferenza con il fratello Fabio il 9 aprile 2009.

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