Prima di tutto ci si deve presentare: siamo la Midget Gallery, vale a dire una galleria nana. Ci vuole poco per capire che dovevamo — e dovremo ancora — farci un’esperienza, anche per dare soddisfazione alla nostra padrona, Katarzyna Kozyra (come dire la nostra Biancaneve). Così, da piccoli galleristi, ci siamo vestiti di gran lusso (impeccabili costumi tirolesi, rametto d’abete sul cappellino e pantaloncini al ginocchio) e siamo andati a Frieze Art Fair per reclamizzare la nostra galleria. Catastrofico: ci siamo fatti cacciare da un uomo gigantesco, il Capo della Fiera in persona. Inesperti sì, ma ormai non del tutto sprovveduti, abbiamo trovato un grande Patron, un collezionista importante che ci ha riforniti con ventimila dollari per scovare un acquisto degno della sua collezione. Fieri di questo incarico e convinti di avere in tasca il contante che ci proteggeva dai Capi delle Fiere, siamo entrati in Art Basel come acquirenti, cioè senza l’ombra di un problema.
Per noi, piccoli galleristi, si spalancava il Paese delle Meraviglie. Ma con la nostra bella sommetta di ventimila dollari — una piccola fortuna per una galleria nana — siamo rimasti a bocca asciutta, con ventimila dollari non si comprava niente. Gli esperti, con quel sorriso maligno che ovunque, anche in banca, hanno sempre gli esperti, ci dicono che “qui ad Art Basel, dopo un quarto d’ora dall’apertura non resta più niente da comprare”. Non saranno proprio quindici minuti, ma qualche ora dopo è veramente così. La fiera è bellissima: opere luccicanti ed enormi, tanta gente che osserva, parla, contratta. Finalmente la vita! Ringalluzziti dal clima positivo, andiamo a mettere il naso ovunque, chiediamo in tutte le gallerie, vogliamo comprare: niente, zero virgola zero, non rimane niente di disponibile, quel che c’è costa almeno il doppio. Adocchiamo una grande papera disneyana completamente perversa ma, con quel che chiedono, ci dovremmo accontentare di due zampe — sempre che l’artista sia d’accordo. Poco oltre siamo attratti da una scultura che raffigura un uomo con uno strano pene, chiediamo il prezzo e facciamo il conto: se con la papera i nostri ventimila dollari bastavano per due zampe, qui, con l’uomo, ci dovremmo accontentare del battacchio. Passiamo oltre, chiediamo e, chiedendo, camminando e tornando a chiedere, ci troviamo alla fine senza niente da portar via come trofeo. A mani vuote ci siamo guardati e abbiamo capito la realtà: siamo proprio piccoli galleristi di una galleria nana. Però attenzione, “uomo avvisato mezzo salvato”: diventeremo grandi (si fa per dire), proprio perché ad Art Basel abbiamo capito come funzionano le cose. La fiera — in questo caso di Basilea — a differenza delle mostre e delle biennali sprigiona vita: da tutte le parti movimento, energia, dunque positività. Un mondo dove, nel bel mezzo di una grande quantità di cose, si fa più fatica a comprare che a vendere, per noi è un gran bel mondo. Un supermercato di lusso con un prodotto di massa, ma personalizzato (un risultato incredibile). Se riesci a comprare puoi essere sicuro che hai preso proprio quello che fa per te. Questa realtà positiva ci fa ben sperare perché, se è vero che le gallerie grandi hanno solo in parte il problema del divenire (intanto realizzano e stanno bene oggi, poi c’è sempre la rendita, la pensione), è ancora più vero che noi, piccoli galleristi di una galleria nana, possiamo solo sperare che le cose migliorino domani. Altrimenti come faremo a diventare grandi? (Si fa sempre per dire). Così, nel nostro piccolo, abbiamo anche capito che, dove ci si arrampica sulla “cultura” e l’ideologia come fossero arrivi in salita (come in tante mostre e biennali) tira aria di depressione e si parla di morte, mentre nelle fiere, dove si compra (chi ci riesce) e si vende, dove c’è mercato, c’è vita, dunque futuro.
Siamo una galleria nana ma, dopo lo scorno dei nostri ventimila dollari ad Art Basel, siamo cresciuti. Per raggiungere i più grandi ci basterà allungare il rametto d’abete sul nostro cappellino.