La pittura di Victor Man non è ciò che è ma piuttosto ciò che potrebbe essere. È uno spazio di possibilità, in contatto con se stessa in tutti i punti all’interno, all’esterno e vicino a essa. Ogni lavoro funziona come punto di partenza, all’interno di una logica di contiguità che conduce a nuove e inaspettate connessioni, come un montaggio cinematografico. Lo spettatore deve fare i conti con un senso di sgretolamento dei confini, dove l’elemento narrativo si muove secondo modalità flessibili, in quanto la reciproca dipendenza delle sue unità multiple può subire alterazioni in ogni momento. A ogni movimento da parte dell’osservatore, ne consegue una configurazione diversa. Una qualsiasi deviazione può portare a un argomento totalmente nuovo. Ciò che si trova nello spazio non è chiaramente definito; ciò che è presente invoca ciò che è assente. Le sue opere si muovono nell’ambito della semiotica piuttosto che nella realtà, permettendo alla pittura di essere parte del mondo, nella sua infinita vastità e densità, piuttosto che lasciare che il mondo entri all’interno dell’opera.
Del resto, un artista è colui che, per necessità, esegue un atto di chiusura, rendendo reale ciò che prima era solo una possibilità. Ciò a cui Man ambisce in arte è un movimento che si sposta da forme di chiusura consolidate, oppure l’utilizzo della chiusura come un mezzo per creare un senso di apertura, di “debito” e di “ricchezza”. Non è che tale chiusura sia abbandonata; questa è piuttosto rimandata, posticipata. Particolarmente intrigante appare l’atteggiamento per cui l’artista si distanzia e si avvicina ai limiti della rappresentazione precedentemente esplorati.
Il suo lavoro interviene all’interno dei codici storici di una pittura intesa come location, tuttavia le sue opere godono di conoscenza ed esperienza proprie, senza cercare di aderire a codici prestabiliti; al contrario, infatti, tenta di valutare il suo grado di continuità o di rottura, di revisione o di eversione, in relazione alla tradizione (specialmente rispetto a quegli approcci estetici basati su un contenuto referenziale e di omogeneità).
“Sono interessato alla pittura dal punto di vista di una sorta di continuità nella Storia dell’Arte” — dice l’artista. “Per almeno cinquant’anni sono stati avanzati incessantemente dei dubbi circa la capacità della pittura di fare dei progressi. Ma forse è proprio la sua marginalizzazione che la riporterà di nuovo al centro; questa condizione agonizzante la sta fortificando. Mi interessa ciò che potrebbe darle un significato diverso. Penso che siamo solo agli inizi di un processo di ridefinizione della pittura”.
Ma in che cosa consiste l’attività di Man e quali sono le sue fonti? L’artista utilizza generalmente immagini tratte dai mass media, privandole di qualsiasi riferimento a ciò che rappresentano o al contesto da cui provengono, fino al punto in cui l’identificazione di qualsiasi logica porta al fallimento e l’immagine rimane aperta sia all’astrazione che all’impulso di una nuova narrazione.
Le immagini sono trasposte in wall drawing e dipinti a olio raggruppati in forma di assemblaggi in relazione allo spazio architettonico in cui sono ubicate. Sono in un certo senso dei combine che esplorano una certa estetica formalista attraverso un linguaggio determinato internamente ed esternamente da un senso di unità ibrida. Le opere generano significati non da sole, ma attraverso la loro relazione all’interno di un territorio oscillante dove la narrazione consiste nel negoziare posizioni, come accade in The Maneuver, None (Mr. Quiet) o nella mostra “The Place I’m Coming From”, tutte coinvolgenti interazioni tra spazi di realtà e di potenzialità.
Analogicamente connessi, attraverso un’elevata consapevolezza del contesto e idiosincrasie personali, ricalibrano la percezione del mondo con il quale si identificano, restituiscono narrazioni lineari e convenzionali regolati da livelli e cicli arbitrari.
È una tattica di interferenza minima per un massimo effetto all’interno del continuum relazionale e ripetitivo di cui abbiamo esperienza.
Man prende l’ordine sintagmatico del mondo (come costruito dai mass media quale sintesi del reale) e lo tramuta in un ordine paradigmatico gettando le premesse per la sua meta-armonia, dove l’ordine, perfino nella sua casualità, sembra credibile e permanente.
Inoltre, iniettando un senso d’irrealtà nei suoi soggetti, le immagini agiscono come punti di accesso per un’indagine su come la rappresentazione si relazioni, con una certa ambiguità, con l’oggetto reale e su come le sue alterazioni possano smembrare la prospettiva data e il punto di vista dello spettatore nel mondo.
Una volta stabilite le modalità di osservazione, è tempo di andare avanti e lasciare il lavoro aperto a qualsiasi interpretazione. L’artista resta per lo più concentrato su questioni estetiche, anche se i materiali impiegati hanno origine nei media e i soggetti coinvolti sono connotati da tracce di memoria personale.
Questo ci porta a un altro aspetto importante dell’attività di Man, cioè a come giochi nel suo lavoro con elementi autobiografici. L’artista appartiene a una generazione cresciuta negli anni Ottanta, nel periodo più austero del Comunismo in Romania. Isolamento e censura hanno influito con un certo peso sulla sua esperienza della rappresentazione, portandolo a impossessarsi di qualsiasi cosa non fosse raggiungibile, osservandola o, se possibile, ricreandola. L’attrito tra le fantasie adolescenziali della cultura popolare occidentale e la realtà del comunismo rumeno, nel quale inclinazioni come queste venivano soppresse, emerge esplicitamente nella sua ultima installazione di disegni su carta alla Timothy Taylor Gallery di Londra.
Ciò che non è così visibile ma che comunque permane, in quanto si protrae in tutti i suoi dipinti, è l’elemento voyeuristico verso cui è indirizzato l’atto di opposizione. L’artista concepisce il suo lavoro come un significante, che tiene a distanza lo spettatore dalla realtà.
Questa distanza produce o svela una mancanza nello spettatore, che si trasforma in un voyeur portato ad afferrare — in ogni centimetro del dipinto e attorno a questo — la realtà al di là delle apparenze. Anche se l’artista lascia molte piccole tracce della sua soggettività nelle sue opere, traspare comunque il desiderio di giocare con il pubblico, di controllare il suo sguardo. È presente nell’installazione pittorica monocromatica Perfect Crime, esposta alla Plan b Gallery di Cluj, dove lo spettatore è incapace di comprendere una precisa verità sul soggetto ritratto, come nelle immagini di un uomo sepolto nella neve o di un pittore con il suo cavalletto in uno spazio aperto. In queste opere, le forme si librano nello spazio solo per ripulirsi e dissolversi sullo sfondo come fantasmi, come per annunciare un’assenza piuttosto che una presenza, che incoraggia la meditazione nel flusso di scambio tra permanenza e cambiamento, oscuramento e rivelazione, attraverso uno sguardo introspettivo.
Elusiva, allusiva, discontinua e fluida, la pittura di Man è difficile da classificare. È una mescolanza di monocromo modernista con dei residui di figurazione, o meglio, minimalista austerità estetica. Persino il colore è solo una parte della complessa ragnatela di significati del suo lavoro; la cromofobia sembra essere un’altra espressione del suo ordine arbitrario: l’essenza al di sopra dell’apparenza, la trascendenza al di sopra del senso comune, l’infinito sempre al di sopra del “qui e ora”.
Peraltro, nel scegliere i suoi riferimenti, che siano ereditati, acquisiti o assorbiti, l’artista presenta personalità così complesse e sfaccettate che una modalità di pensiero polarizzata si rivela semplicistica.
Perché tentare di vincolare l’artista quando è proprio il meccanismo di classificazione che la sua arte rifugge con tanta perseveranza?
Aspettarsi un significato, o la percezione di una chiarezza, è sbrigativo perché la sua pittura riguarda, più d’ogni altra cosa, diversi livelli di aspettativa, e gradi di apertura e chiusura. “Fuggo da affermazioni definitive” — suggerisce l’artista — “amo l’idea di procedere lentamente all’interno delle cose e se diventano troppo esplicite, includo nuovi elementi che disturbano la coerenza”.
Se l’ultima soluzione significa chiusura, perché si dovrebbe sperare in una fine piuttosto che avere la possibilità di un’aggiunta nella viva e infinita catena degli interrogativi?
Victor Man è un pittore innamorato dei suoi soggetti e desidera tenerli in vita.