Entrando si ha l’impressione di oltrepassare una soglia. Un viaggio nella cosmogonia visionaria dai toni del racconto epico, dove si perde la cognizione del tempo cronologico, ritrovando quello interiore intrecciato al ritmo universale oltre le convenzioni, che ci risucchia letteralmente in un’altra dimensione trasformandoci in casse di risonanza: The Refusal of Time, esito di un progetto pluriennale presentato nell’ultima Documenta di Kassel, è il fulcro della mostra che il Maxxi dedica a William Kentridge, “Vertical Thinking” a cura di Giulia Ferracci.
Un titolo che riassume il complesso e proteiforme processo operativo di uno dei maggiori artisti contemporanei che ha realizzato l’utopia dell’opera d’arte totale dell’avanguardia, dove convergono in perfetta sinestesia teatro, danza, performance, musica, disegno, animazione, cinema muto in un grande affresco in cui si intrecciano la Storia a cominciare dalle vicende della sua terra, il Sudafrica, nell’impegno alla lotta contro l’apartheid, con le storie e le opere dei grandi autori, alla luce di un assoluto presente.
Anche l’allestimento segue questo registro, un transito dal tempo storico allo spazio oltre il tempo, dove i suoi “attori protagonisti” celebrati dai classici musicali da Mozart a Monteverdi, e letterari da Svevo a Jarry, vengono riletti all’interno della società di oggi, rovesciando la mitica figura dell’eroe, Perseo in primis, nell’allegoria della ricerca dell’identità esistenziale e politica.
La riflessione sul concetto di tempo, condivisa con il fisico Peter Gallison, nella realizzazione della caleidoscopica installazione avvalendosi dei contributi di compositori e coreografi, si sviluppa attraverso un’orchestratura in continuo divenire di proiezioni sincroniche di ombre cinesi, immagini di danzatori e misuratori del tempo che rimandano al concetto di ciclicità: metronomi, ruote, orologi vintage, caffettiere volanti, al cospetto di megafoni narranti — dove l’artista conversa con il fisico sui massimi sistemi, relatività ed entropia, buchi neri e possibili implosioni in universi paralleli — e di un ingombrante congegno ligneo dal suono ancestrale, un ibrido che ricorda macchine leonardesche e proto-industriali, comprese le celibi duchampiane. Il tutto è un dispositivo dal funzionamento perfetto a cui partecipa l’artista in prima persona, che fa capolino da cartografie immaginarie e dà voce ai misteri di un tempo che passa e si azzera riavvolgendosi in un ineluttabile loop.
Contemporaneamente in “Refuse the hour”, la messinscena performativa e corale al Teatro Argentina dopo la standing ovation all’Holland Festival di Amsterdam, Kentridge recita il suo ruolo disegnando, attraverso il corpo di Dada Masilo (nomen omen), l’unità di misura del tempo di cui l’arte e la scienza, attraverso una metafora umana, registrano tracce e destini, rinnovandone i miti.