Nulla viene tralasciato dei movimenti escavatori di specilli, siringhe e turbine dentali, del suono stridulo e perforante del trapano, di quello vorticoso dell’aspiratore. La personale di Yuri Ancarani “Atlantide 2017-2023” curata da Lorenzo Balbi si apre dentro una ricostruzione dentale che – scopriremo – è anche la condizione di esistenza di Atlantide (2021).
Il lungometraggio più recente dell’artista continua la ricerca sull’identità maschile che, come nell’osservazione di sommozzatori che vivono in una camera iperbarica (Piattaforma Luna, 2011), viene feticizzata in un’esperienza solenne, solitaria, faticosa, violenta e non verbale. Atlantide adotta un approccio da cinema verità e segue Daniele, un adolescente veneziano alienato, e la sua generazione, che vivono la laguna a bordo di barchini “pimpati” con motori potenti, luci a LED e stereo da cui blastano la musica trap, inscenando una parabola sulla rincorsa di un sogno, quello di arrivare primo nella classifica dei barchini più veloci. Il risultato è affascinante e amaro come un romanzo di formazione tanto spontaneo – la sceneggiatura è stata scritta a film terminato – quanto informato da una società complice nella riproduzione di modelli regressivi di mascolinità.
Atlantide riunisce ambiziosamente linguaggi diversi, dall’arte al cinema, al videoclip, alla pubblicità, ai social media, e abita la convergenza infrastrutturale ed economica – direbbe Henry Jenkins – che condividono: dopo i prestigiosi festival, arriva al MAMbo simultaneamente come evento unico per il museo, installato in un cubo nero immersivo (sebbene le sedute senza schienale confermino la difficoltà a traghettarvi l’ospitalità del cinema) e come contenuto digitale omogenizzato per le piattaforme, disponibile in streaming.
Intorno al film, “Atlantide 2017-2023” tematizza per la prima volta l’estesa ricerca audiovisiva che accompagna i progetti di Ancarani. Brevi vignette in loop sono presentate come un’installazione imponente a schermi multipli distribuiti in altezza. Sono indizi sfuggenti e simbolici che ricostruiscono gli anni trascorsi a Venezia con i ragazzi sui loro barchini. Il percorso inizia con la ricostruzione dentale offerta da Ancarani a Daniele in cambio della sua partecipazione ad Atlantide. Si esce dalla sua bocca e si arriva alla laguna, dove tutto è sempre in movimento, come le immagini cristalline e i suoni non diegetici che la raccontano tra atmosfere cupe e gioiose: un vaporetto spiaggiato dal livello record di acqua alta del 2019 fa da sfondo a un fisarmonicista che nella riva deserta e sotto una luce gialla artificiale intona Partirò; cittadini e cittadine protestano pacificamente contro le grandi navi confrontandosi con poliziotti in tenuta antisommossa. La parte più cinematica, nel senso di spettacolare, vede le proiezioni installate come un ciclo di riquadri dove, tra LED verdi e fumo avvolgenti, Daniele esplora con dita sensuali la barba di un carciofo, il suo corpo in posa chiastica come il San Sebastiano di Mantegna, mentre sulla parete opposta, a cavalcioni su un motore fuoribordo ne accarezza il timone con gesto autoerotico. E poi la catabasi su note barocche melanconiche: Daniele ha il viso putrefatto mentre naviga i canali di Venezia illuminati soltanto dalle luci infernali del suo barchino in un montaggio che alterna le mostruosità di entrambi.
Sono immagini orrifiche e seducenti che Ancarani rielabora nel finale del film astraendo, come fa spesso, ciò che si è visto prima. In Atlantide rovescia la camera di 180° e, sfruttando il riflesso dell’acqua, trasforma i ponti in portali di un viaggio dentro un nulla – inquietante e grandioso come la musica d’accompagnamento – che forse è quello di Daniele, ormai morto in un incidente mentre rincorreva il suo sogno. Il fatto è preso dalla cronaca veneziana che ogni anno registra incidenti simili a causa della scarsa manutenzione delle vie d’acqua e, per estensione, lo stato di degrado in cui versa tutto ciò che è lontano dalle rotte turistiche più intensive. Nel riferimento alla mitica città-isola affondata da Poseidone, Atlantide è il naufragio e il fallimento di Daniele, della società veneziana e occidentale, della mascolinità monodimensionale e dei suoi culti pagani – la cui interiorità è superficiale quanto il nome della propria morosa attaccato con l’adesivo sul barchino.