DAIDO MORIYAMA — CIAC, Foligno

19 Dicembre 2014

Fotografare la vita e le sue meraviglie, entrare nei brani soffici della realtà per capire e carpire il suo costante fluire, per ritagliare frammenti di un firmamento contingente, mobile, fragile. È attorno a questa atmosfera irrequieta che si tesse il filo estetico di Daidō Moriyama (Ikeda-ho, Osaka 1938), una delle voci più importanti della fotografia giapponese contemporanea presente, fino al prossimo 25 gennaio, con un progetto speciale curato da Filippo Maggia e Italo Tomassoni negli spazi del Ciac di Foligno. Quasi a togliere la voce alle parole, le immagini di Moriyama urtano l’inerzia della conoscenza per colpire la misura della profondità. Le sue sono infatti parole date attraverso il potere della cronaca visiva, l’inciampo su ambienti bloccati dallo sguardo, dalla volontà immediata, frontale, impulsiva, di produrre e di raccogliere brandelli di realtà per “presentarli come materiale capace di provocare pensiero”.
Corpi che si perdono nella nebbia, un nudo femminile in un prato, una bambina in abito bianco in un vicolo degradato, l’immagine di un’alluvione, sette giovani ragazze in divisa davanti a un ristorante. E poi, ancora, un maiale sbrindellato per strada, due ragazze legate seguendo l’arte dello Shibari o il ritaglio d’una folla compressa nello spazio angusto di un autobus. Il mondo proposto da Moriyama disegna l’ordinario e lo straordinario senza preferenze, decostruisce continuamente la realtà per ristrutturarla, rileggerla secondo una prassi estetica che mira a lasciare “sospesa la domanda su ciò che abbiamo di fronte, anche dopo aver guardato le immagini”. Trentasei scatti della sequenza Japan: A Photo Theater, 35 in bianco e nero del progetto A Hunter, 32 fotografie del gruppo Lucky Artist, una serie di scatti che raccontano il desiderio di creare, per frammenti, una totalità, un puzzle infinito: queste le Visioni del mondo esposte a Foligno. Visioni di un mondo catturato in tutte le sue varie declinazioni per raccontare, mostrare, attraversare, con eleganza, lo spessore stesso della memoria.

 

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