“Molti degli oggetti qui presenti appartengono a lotte tutt’ora in corso. Alla fine della mostra, alcuni di essi ritorneranno nelle strade”. Gli oggetti sono quelli “disobbedienti” della protesta socio-politica, della quale trasmettono rabbia, dignità e speranza. I contenuti eterogenei si concentrano sulla cultura materiale che accompagna i movimenti sociali, qui raccontati con un taglio inedito (progetti simili si sono focalizzati soprattutto sui manifesti politici). D’altra parte l’importanza data all’oggetto risulta totalmente in linea con la collezione del Victoria & Albert Museum, con l’unica ma preziosa differenza che in quest’occasione la narrazione principale — quella dell’élite culturale — è affiancata da quella contro-egemonica delle masse popolari, portando alla luce un ciclo di produzione e consumo posto su lunghezze d’onda totalmente diverse.
Le tazzine per il fundraising del movimento delle suffragette, i videogiochi che raccontano lo sfruttamento del lavoro nelle miniere congolesi, le maschere delle guerrilla girls, i libri-scudo delle recenti manifestazioni studentesche italiane, insieme a numerosi altri promps, si inseriscono in uno spazio rude e sovraccarico, che evoca la caotica teatralità delle proteste spontanee, dove agli oggetti si intercalano ricchi contributi testuali e una documentazione fotografica che ricostruisce i contesti di provenienza.
La problematica aperta da un progetto di questo tipo è chiara agli stessi curatori, che affrontano la questione nel ricco catalogo: musealizzare un oggetto, significa in qualche modo silenziarlo, trasformarlo in un feticcio che difficilmente conserva traccia della componente emozionale che ha accompagnato la sua prima vita, problema non nuovo per l’arte contemporanea, da quando si è attinto agli oggetti del quotidiano. La mostra oltre ad affrontare il rischio con limpida onestà intellettuale, lo accoglie come una sfida: la creazione di un museo che si faccia anch’esso disobbediente, alla ricerca di nuovi dialoghi fra oggetti, azioni e storia, e diventi così un archivio funzionale alla memoria collettiva della sua comunità.
by Micaela Deiana