Una mostra all’apparenza essenziale quella di Liam Gillick allestita nelle stanze della Galleria di Alfonso Artiaco: ogni elemento si colloca nello spazio con un’eleganza rigorosa e una sapienza costruttiva che non ha nulla da invidiare ai maestri del Minimalismo degli anni Settanta. Se distanza esiste fra gli artisti storici del Minimal Art e Gillick direi che si manifesta tutta nell’aggettivo “accattivante”.
Appunto accattivanti sono questi moduli/sculture nella commistione di un materiale freddo come il ferro e pannelli di plastica colorata, viene voglia di giocarci, di smontarli e di rimontarli. La dimensione ludica viene implementata e rafforzata dalle decostruzione dei parallelepipedi in quattro o cinque variabili differenti. Ma in questa mostra l’artista sposta questo gioco da un piano prettamente costruttivo e visivo a uno metalinguistico, accostando ogni singola scultura una frase iscritta sulla cornice della porta di ogni sala che le ospita. Il riferimento al gioco si addentra nei complessi territori del linguaggio, decisamente meno accattivante delle installazioni, ma sensibilmente aulico e raffinato seppure incapace di istaurare una profonda relazione con le sculture/oggetto.
Ci chiediamo, quindi, se questo è la declinazione che Gillick intende quando parla di pensiero collettivo, perché valutando e osservando le differenti componenti che strutturano la mostra sembra che questo messaggio resti bloccato nelle intenzioni dell’artista e non riesca ad arrivare al pubblico dei fruitori. Non ci vengono in soccorso neanche le parole dello stesso Gillick che nel comunicato stampa enuncia e ribadisce una serie di proposizioni che spaziano dalla filosofia della scienza, alla sociologia, alla antropologia, citando studiosi come Ludwik Fleck e Mary Douglas. Concetti che dovrebbero accompagnare la lettura dei lavori presentati a Napoli, ma che lascerebbero disorientato anche uno zelante studioso.
In appendice Artiaco propone due lavori di Joseph Beuys di una struggente e nostalgica raffinatezza che ci riportano davvero al centro della storia dell’arte.
by Gianluca Brogna