Il comunicato stampa afferma che la Biennale è “draft” da Carolyn Christov-Bakargiev. Puoi spiegarmi il perché della scelta di questa parola?
CCB: “Abbozzare” evoca la parola “disegnare” o fare una proposta o un progetto di qualcosa che verrà realizzato in seguito. Disegnare è il gesto fondamentale per tracciare il fare, che non è solo umano ma si riferisce anche ad azioni di altre entità viventi e formazioni geografiche; dai disegni delle caverne ai fiumi che tracciano il loro letto alle formiche che scavano tunnel sotterranei, disegnare è un gesto conosciuto nel mondo e ha diverse connotazioni. Disegnare può essere importante — per esempio quando disegni il progetto per un edificio — e inutile. O anche il modo in cui durante l’Illuminismo si definiva l’arte: un’attività inutile, come l’altra faccia della società produttiva. “Disegnare” è una parola che non è usata solo nel mondo dell’arte oggi e non ha la connotazione di potenza che la parola “curatela” ha, che definisce un lavoro di consigliare collezioni d’arte, selezionare, dividere il buono dal meno buono. Assolve una funzione produttiva e quando fai questo diventi un funzionario, un accademico. Affermi potere, e personalmente io faccio associazioni negative con questo tipo di attività. Questo gesto fondamentale di disegnare e fare segni mi viene in mente dopo aver guardato al Bosforo, che appare come una linea tracciata da un gigante, che mette in collegamento due mari. La sua etimologia “passaggio della giovenca” si riferisce a un’epoca precedente quando il Bosforo non era aperto e poi, a causa del movimento delle faglie, la sua configurazione geografica è cambiata molte volte. Questo luogo, dove le vacche e i buoi passavano, mi ha fatto pensare alle “forme del pensiero” che sono le progenitrici dei loghi commerciali, le manifestazioni di ciò che è invisibile e tuttavia visibile, o invisibile e apparentemente astratto ma sicuramente fisico.
Tra le personalità coinvolte nel tuo “disegno”, figura Pierre Huyghe. Puoi raccontarmi del suo coinvolgimento nella Biennale rispetto agli altri artisti che hai invitato “semplicemente” a esporre?
CCB: Lui è uno dei miei alleati. “Alleato” è una parola che ha un che di militare. Comunque, seguendo il mio desiderio di rifarmi all’etimologia delle parole, il primo uso di questa parola indica l’anello che simboleggia il matrimonio e significa quindi legarsi insieme, annodare. Noi stringiamo questo nodo dopo una lunga relazione; al Castello di Rivoli, per la sua retrospettiva nel 2004, abbiamo fatto un sacco di nodi con i bambini e lasciato volare una mongolfiera in cielo e su dalla collina del paese all’interno del cubo modernista del terzo piano del Castello di Rivoli, rendendo questo spazio più morbido. Poi a Sydney nel 2008 abbiamo portato duemila alberi all’interno dell’Opera House e le persone potevano girare al suo interno indossando lampade da minatore, come delle lucciole. Le nostre vite intellettuali corrono in parallelo; ci influenziamo l’un l’altro. Il lavoro di dOCUMENTA (13) Untilled (2011-2012) era un microcosmo dell’intera mostra, era un mucchio di concime che andava contro l’idea di archivio, e non era concepito solo per i visitatori umani, ma anche per gli insetti e una miriade di altri visitatori. A Istanbul parleremo di idee, di autopoiesi, del mondo; egli mi ispira e mi da consigli quando ne ho bisogno.
Ho sentito che quando eri al PS1 Hai detto che volevi lasciare il tuo lavoro nell’arte e scappare all’Isola d’Elba. Cosa ti ha fatto restare e organizzare mostre?
CCB: Sono scettica ed entusiasta allo stesso tempo e vivo in modalità Adorno, sempre attenta a una forma di dialettica negativa e quindi dentro e fuori il mondo dell’arte. Voglio vivere la vita e voglio anche riflettere su di essa, attraverso ricerche e mostre. “Le contraddizioni sono ovunque” ha detto una volta Francesco Matarrese.
“SALTWATER: una teoria delle forme del pensiero” dal 5 settembre al 1° novembre.