Perché mai discorrere di “scrittura” a proposito di certe arti figurative? Si prenda la produzione artistica di Aldo Mondino come esempio: nonostante egli venga classificato come pittore e scultore, colpisce – almeno quanto le sue opere – l’accuratezza riposta nei titoli che assegna, con arguzia e meticoloso studio, ad ogni suo lavoro. Il risultato è ludico, cartoonish, e mima quel tipo di pubblicità che punta sull’empatia del fruitore colto. Dimostra un orecchio sensibile ad ogni tipo di omofonia: da qui nascono esperimenti linguistici ai quali dà immagine e forma partendo da parole-valigia, sciarade e calembour. È così che nasce il “drawing” di “Darwing” (1972) o tele come “Fascin-Action” (1960 ca.) – una fascina di sterpi dipinta alla maniera degli action painters. È nel periodo degli anni Sessanta e Settanta, come già introduce il titolo della mostra, che sceglie la scuola dell’enigmistica per sviluppare rebus: un modo che accompagnerà l’intero sviluppo della sua pratica negli anni a seguire. Nei doppi o tripli significati delle sue opere, si odono gli echi dei poeti francesi come Apollinaire, Roussel, Queneau e Perec: retaggio degli anni in cui si forma a Parigi, dove studia à l’École du Louvre e frequenta il circolo del Nouveau Réalisme. Questa forma di comunicazione che oscilla tra immediatezza popolare e concettualizzazione snob, sottolinea la vastità del vocabolario estetico, linguistico e anche comportamentale dell’artista. Ne danno prova le fotografie che documentano azioni rocambolesche come cavalcare nel cuore di Brera sul dorso di un cammello (1985), o partecipare come ospite al concorso “Modella per l’Arte” all’Hotel Le Conchiglie di Riccione nel ’97. Memorabili! Questo è anche Mondino: un istrione il cui ego performa col suo inconscio – suggerirebbe Freud – ma anche un saggio che sposa la filosofia del non prendersi mai troppo sul serio.
11 Novembre 2016, 12:08 pm CET
Aldo Mondino Kanalid’arte / Brescia
11 Novembre 2016Mattia Ruffolo
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