Harun Farocki Fondazione Sandretto Re Rebaudengo / Torino di

di 7 Dicembre 2016

Does the world exist if I’m not watching it?
Si apre con questo interrogativo Parallel II (2014), uno dei quattro video che compongono l’omonima serie, ultima opera di Harun Farocki prima della sua morte. Nel video, una voce fuori campo descrive i confini invisibili dei mondi di gioco, “mondi-disco” sospesi nel nulla come appariva la Terra nelle raffigurazioni di epoca pre-ellenica. Farocki analizza i limiti che i personaggi possono volontariamente valicare, precipitando in un abisso digitale. Un cow boy galoppa in una prateria generata dallo sguardo che si posa su di essa. Fin dove può spingersi? Un Far West dai confini naturali in cui una capsula invisibile favorisce gli spostamenti dei personaggi, proteggendoli dai pericoli insiti nel paesaggio.
Creato come una quinta teatrale, Parallel III (2014) mostra la facilità con cui in un videogioco si può planare nel mezzo di uno scontro a fuoco e, altrettanto facilmente, con un semplice comando lasciarne immediatamente l’area, delimitata da confini bidimensionali come un gioco da tavolo. Intercalate alla narrazione, fasi di progettazione del videogioco svelano come ogni caratteristica di ambienti e personaggi sia meticolosamente costruita e orchestrata da algoritmi e intelligenze artificiali. In un mondo in cui gli oggetti non sono altro da sé, essi sono di per sé un nulla. Nel tentativo della camera di penetrare il suolo o il piedestallo di pietra di una scultura, si innesca una riflessione sul concetto di superficie: il mare altro non è che una superficie grafica senza acqua al di sotto. Questo mondo galleggia come un’isola in un oceano primordiale.
Con Parallel I (2012), invece, Farocki tratteggia una breve storia della rappresentazione nei videogiochi sviluppando un discorso sull’evoluzione dell’albero e di altri elementi naturali come il vento, le nuvole, le foglie e il loro movimento, la schiuma delle onde del mare. Focus del video-saggio è l’analisi della relazione tra immagini cinematografiche e digitali, del nuovo costruttivismo che ha permesso di passare in trent’anni dal disegno lineare a una rappresentazione a stento distinguibile da un’immagine filmico-fotografica. La storia di una tipologia di immagini come modello per lo sviluppo di un’altra: il passaggio da pittura, fotografia, cinema a immagine digitale, l’ipotesi di un superamento dell’immagine cinematografica ad opera di quest’ultima.
Chiude il ciclo Parallel IV (2014), in cui il protagonista è gettato nel suo mondo senza genitori né maestri. Deve capire da solo le regole del gioco interagendo con gli altri personaggi. In una delle scene, una negoziante durante un tentativo di rapina viene costretta a lasciare il negozio ma varcatane la soglia ha già dimenticato l’accaduto. Rientra in negozio, viene minacciata e corre via nuovamente.
Questo episodio prometeico induce a riflettere su quanto limitata sia la libertà d’azione umana.

Altri articoli di

Marta Zanoni