“Ecco i negozi!” è una rubrica di Anna Franceschini ideata per “In Residence”. Negli episodi che comporranno la rubrica, Franceschini approfondirà il tema del display, interrogandolo nelle sue diverse accezioni e traduzioni (dalla vetrina di negozio alla messa in mostra di opere d’arte), con l’obiettivo di tracciare delle connessioni tra l’atto del mostrare e quelli del guardare ed eventualmente comprare e consumare.
Nel terzo episodio di “Ecco i negozi!”, Franceschini incontra Barnaba Fornasetti – artista e art director, figlio del poliedrico artista e designer Piero – e Micol di Palma — scenografa e, da circa un anno, braccio destro di Barnaba nell’ideazione degli allestimenti per le vetrine del negozio Fornasetti di Milano.
Quando incontro Barnaba Fornasetti e Micol di Palma, l’allestimento del negozio di cui Barnaba è direttore artistico, è dedicato alla collaborazione di Fornasetti con il brand di moda giapponese Comme des Garçons. Il padre di Barnaba, Piero, ha definito la linea estetica dell’azienda di famiglia. La lunga collaborazione con Giò Ponti, l’ossessione per il volto della cantante Lina Cavalieri, l’eclettismo e il virtuosismo tecnico sono solo alcuni dei tratti distintivi dell’oeuvre di questo grande maestro della decorazione. Il figlio Barnaba ne continua e amplia il percorso.
Quando Barnaba e Micol mi accolgono, le sei vetrine che impreziosiscono l’angolo tra via Senato e Corso Venezia, sono in pieno fulgore allestitivo. Non posso fare a meno di notare il gusto e la raffinata ricerca che distinguono i display. I “fondali” (termine mutuato dal teatro ma che ben si attaglia ai “meccanismi” scenografici al cui montaggio sto assistendo) fanno ricorso all’illusione ottica e al trompe l’oeil: pattern optical e porte fittizie annullano la dimensione prospettica reale, ampliando o deformando lo spazio, come in un’anamorfosi o in un gioco di specchi. Le vetrate stesse sono decorate da vetrofanie. Mani e avambracci di bambole rimandando a una dimensione marionettistica e feticista, più tesa verso la poupée di Bellmer che al Rinascimento. Altre vetrate sono invece per gran parte occluse da decorazioni ben più presenti: riproduzioni di porzioni di templi, teatri all’italiana o porticati di palazzi nobiliari, le cui arcate aprono un varco all’occhieggiare di volti enigmatici su vasi di ceramica – un casellario di bocche, occhi e nasi. A volte, tra i fondali e le vetrofanie, un terzo elemento entra in gioco: tendaggi di velluto che fungono da sipari, da quinte. Forse, un ulteriore richiamo alla teatralità.
Nella sciarada prospettica che coinvolge interni ed esterni del negozio, ogni dettaglio è una mossa che tende a mettere in scacco il realismo. L’incrostarsi di gemme e castoni decorativi, strato su strato, porta il passante a un fuggevole momento di sospensione dell’incredulità e abbandono a universi di fantasia pura.
Anna Franceschini: Esiste una differenza tra l’allestimento di una vetrina e quello dell’interno di un negozio?
Barnaba Fornasetti: C’è una differenza notevole fra l’interno del negozio e la vetrina. Le vetrine devono essere pensate partendo da un punto di vista diverso, dall’esterno verso l’interno, e per essere percepite in un attimo fuggente – soprattutto in questo nuovo negozio, all’angolo su una via di grande scorrimento, di traffico di veicoli che quando sono fermi al semaforo hanno pochi secondi per notarti; ma anche per i pedoni che, se si fermano, rischiano di ingolfare il marciapiede che è molto stretto. La vetrina ha le sue problematiche, l’interno ne ha altre, totalmente diverse da quelle.
È stato interessante notare il cambiamento con il vecchio negozio, un mono-space, e questo, più grande e articolato in più stanze. Qui siamo riusciti a valorizzare meglio i mobili, che infatti si vendono di più proprio perché sono più ambientati. All’interno del negozio cerco di creare degli ambienti; quelli della vetrina invece sono degli stage.
AF: Come nasce l’idea di allestimento delle vetrine? Nasce prima delle ambientazioni?
BF: Non c’è una regola, dipende anche dagli umori miei e di Micol. Prima facevo tutto da solo, avevo una sola vetrina; adesso sono sette, e non posso fare a meno di un supporto. E poi dal punto di vista creativo, lavorare con gli altri mi ha sempre stimolato. Cerco di spersonalizzare il brand nonostante la tendenza diffusa sia quella opposta… Anche perché non credo nella successione via sangue. Credo che quello che è avvenuto con mio padre sia stato puramente casuale. Per questo sto cercando di creare un team che possa poi portare avanti la linea di Fornasetti.
Le idee delle vetrine sono chiaramente influenzate da quello che vogliamo e che abbiamo necessità di esporre. Ad esempio adesso ci sono i capi di Comme des Garçons. È la prima volta che abbiamo dedicato delle vetrine alla moda, mondo che io prendo sempre con le pinze. Non mancano mai infatti proposte lusinghiere dai grandi brand di moda, ma dico sempre di no perché la moda è pericolosa: ti porta alle stelle, ma con la stessa velocità ti porta anche sotto terra. Però, insomma, a Comme des Garçons non si poteva dire di no!
AF: Secondo lei, quali sono gli elementi che attraggono di più i passanti in questo “attimo fuggente”– o è forse un solo un elemento?
BF: Non saprei… Nel nostro caso direi quelle cose “che non sono banali”. Poi se vendi scarpe magari sono i prezzi piuttosto che la qualità del prodotto esposto. Ma noi cerchiamo di fare cose che attraggono la curiosità.
AF: Quindi è un misto di elementi?
BF: Il fatto di essere “sopra le righe” è già un motivo di forte di attrazione. Con Micol pensavo di aver trovato qualcuno che mi frenasse nella bulimia della quantità di cose che inserisco nelle vetrine e invece… Fa parte del gioco, di questa contraddizione nel mandare dei messaggi e vendere dei prodotti, che sono due cose che contrastano nel mondo d’oggi; filosoficamente: per questioni etiche sei contrario al prodotto, ma poi ci devi fare i conti perché ti da’ da vivere…
Micol di Palma: Si è sempre in contraddizione con quello che percepisce il passante…
BF: Una cosa che avevo notato fin dai tempi di mio padre è che le nostre vetrine attraggono differenti tipi di persone, a partire dai bambini piccoli – per loro sono una sorta di luna park – fino a persone culturalmente più elevate. Direi che colui che le rifiuta è qualcuno che ha preconcetti perché è intimorito da una certa visione libera. I bambini sono attratti dalle nostre vetrine perché sono liberi.
MdP: La signora di sessant’anni, eccentrica, che ha voglia di manifestare novità, è sicuramente la persona che vedo più attratta. Poi invece giorni fa facevo una vetrina e due adolescenti mi guardavano allibiti…
AF: Ritorniamo ancora “dentro” le vetrine: ha mai pensato di inserire delle macchine animate nei suoi display?
BF: Mi sarebbe sempre piaciuto, ma poi per questioni tecniche o di tempo non ci sono mai riuscito. Ne avevo parlato una volta con Virgilio Villoresi [regista fiorentino, milanese d’adozione, virtuoso dell’animazione] il quale realizza delle macchine, oltre a fare film, e ne avevamo pensato alcune insieme, che poi non abbiamo mai avuto il tempo di realizzare. Poi c’è l’elemento dell’aria, che ogni tanto anima le nostre vetrine. Spesso i piatti sono appesi con fili di nylon, diventano una sorta di mobíle. È un’idea di mio padre, che negli anni Sessanta pensò di fare una mostra di tutti questi piatti appesi, come dei mobíle che appunto si muovono con l’aria.
AF: Mentre, invece, crede che un elemento “performativo” umano sarebbe un po’ disturbante per il pubblico?
BF: Ci abbiamo pensato, anche di recente. Però queste sono idee di poco conto, per acchiappare audience, e non voglio creare clamore attorno a eventi troppo facili.
AF: Si ricorda qualche vetrina milanese, di quelle storiche?
BF: Le vetrine della Coltelleria Lorenzi, in via Montenapoleone. Lo ricordo perché lo rimpiangiamo in molti… Gli oggettini, le cosine… Le sue non erano delle vetrine strutturate, ma molto tecniche, semplici ma belle proprio per questo.
MdP: Un po’ come quelle di Hermès, che hanno un tocco di artigianalità, mentre le altre sono sempre un po’ industriali.
BF: Io non amo molto Hermès, ma concordo che le vetrine sono ben fatte. Quelle di Moschino erano favolose! Adesso ha avuto una debacle imbarazzante, non riesco a guardarle: volgari, terribili! Franco si rotolerà nella tomba.
AF: Micol, tu sei una scenografa di formazione. Sono curiosa di sapere le differenze rispetto al lavoro per il teatro, quindi per un palco, e a quello per una vetrina.
MdP:Io faccio principalmente still life o lavoro come prop-stylist, e non c’è molta differenza tra questo genere di commissioni e gli allestimenti delle vetrine. La differenza, quella vera, è il rapporto con le persone, che sono molte diverse. Una persona che vende un oggetto è molto diversa da un art director, da un fotografo o da un producer. Nel mondo della pubblicità non mi ero mai confrontata con certe tipologie di persone.
BF:A proposito, ho fatto una piccola modifica di sotto… Sono certo che ti piacerà!