Alicia Frankovich Le Case d’Arte / Milano

6 Aprile 2017

Nelle opere di Alicia Frankovich l’essere umano e le sue azioni svolgono spesso un ruolo primario. La riflessione dell’artista neozelandese sulla nostra quotidianità è parte integrante delle sue performance e dei video, spesso in relazione con giochi di ombre e luci, o installazioni introspettive connesse all’attività fisica, al tempo e al luogo, come nel caso di “Outside Before Beyond” – personale realizzata presso la Kunstverein di Düsseldorf.
Nella mostra “Frutta e Gambe” a Le Case d’Arte di Milano avviene un cambiamento di prospettiva: l’umano diventa secondario, non è più il soggetto dell’opera, ma è spettatore e fruitore. L’artista e il gallerista infatti, durante l’opening hanno invitato il pubblico a raccogliere un mandarino da terra, sbucciarlo e mangiarlo, lasciandone, infine, la scorza sul pavimento. Queste tracce, consumate e poi calpestate, testimoniano la fruizione da parte del pubblico e accompagnano il reale soggetto della mostra: grandi stampe fotografiche su carta appese alle pareti della galleria, verticalmente. Ogni stampa è una gigantografia di dettagli zoommati di bucce di frutta. Elementi commestibili che, visti al microscopio, assumono somiglianze particolari che, secondo Frankovich, “sono macro immagini corporee e celestiali”. L’artista scatta alcune immagini della buccia delle mele, la cui superficie è stata ingrandita tanto da diventare un pattern irriconoscibile che ricorda cieli stellati, o galassie spaziali, e della scorza dello Schwarzwurzeln – pianta selvatica che produce fiori che assomigliano a margherite gialle – che, invece, richiama il mantello di un cane dalmata, o la corteccia di un albero di betulla. Così come il dettaglio stampato, sempre in grandi misure, della buccia di banana che può assomigliare a una gamba umana. Frankovich crea un nuovo immaginario fatto di “galassie” e di “pelle” dove la tematica dell’antropocene, oggi tanto discussa, è qui spunto di una riflessione in cui l’umanità è decentralizzata e ciò che rimane è la natura e le sue tracce. Una natura antropomorfizzata per quella porosità che richiama la nostra pelle e che, in “Frutta e Gambe”, auspica una presa di coscienza collettiva.

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