Mappe sbagliate portano a luoghi migliori. Lo slogan di questa terza edizione di Loose illumina la forma paradossale del festival: un tentativo cosciente di sbandare, percorrere il sentiero sbagliato, naufragare. I situazionisti francesi adottavano le forme espressive proprie del sistema capitalista e ne alteravano il contesto, trasformandole in armi di creazione e critica – un’operazione che Guy Debord chiamerà deceptive détournement (dirottamento ingannevole). Secondo una strategia simile Loose ribalta le dinamiche proprie dei grandi festival internazionali, generando un momento intimo di radicale condivisione, incontro di artisti, pubblico e location. Una volontà restituita quest’anno dal simbolo della conchiglia, al tempo stesso rifugio e cassa di risonanza, luogo tanto famigliare quanto irriducibilmente alieno. Da due anni collaboro con Matteo Pit, direttore artistico di Club Adriatico, immaginando con entusiasmo quali possibilità offre e nasconde il formato festival. Questo articolo è il riassunto di più discussioni, e un’introduzione all’edizione 2017 di Loose.
Oltre il rumore irregolare di stabilimenti e serate, la riviera romagnola trasmette senza interruzione un accordo dissonante. Una vibrazione che emerge dal territorio e comunica che qualcosa è andato storto; un’apocalisse lenta, più simile alle fughe di petrolio delle piattaforme adriatiche che a un fungo atomico. La massiccia economia turistica locale, in crisi da decenni, ha assunto la forma di una cicatrice lunga da Marina Romea a Riccione, costellata di club divorati dall’edera o dai compromessi economici, che ne hanno sterilizzato la proposta artistica. Il progetto Club Adriatico ha la volontà di riaprire la ferita – e l’espressione radicale di Loose somiglia forse a un’infezione, il più disperato tentativo di coltivare la vita sopra un tessuto morto.
Il fecondo passato dei club romagnoli ha generato un’eredità complessa, trama di generi in trasformazione lungo chilometri e decenni, tessuta da differenti locali, organizzatori, pubblici, economie e stupefacenti. In questa rete vi sono fili e nodi che Club Adriatico osserva con interesse, come la stagione cosmic che dai primi anni ‘70 a metà degli anni ‘80 espresse con un approccio unico a livello internazionale l’identità visiva e musicale delle serate. L’aspetto dei locali, costruiti e decorati secondo i tropi della fantascienza o dell’esotismo, introduceva la volontà fondamentale di creare una dimensione aliena: singoli radiofonici e rarità si mescolavano in un liquido denso, che rapiva i presenti alimentandone la curiosità oltre il termine della serata. Un ulteriore riferimento è il periodo di grande prosperità economica degli anni ‘90, che accompagnò l’evoluzione del new beat verso le influenti sfumature italiane di hardcore e trance.
Fulcro geografico del progetto Club Adriatico è l’ex raffineria di zolfo Almagià, un complesso industriale del porto di Ravenna, punto di sbarco del dirottamento nei confronti delle logiche di mercato che guidano la direzione dei grossi eventi musicali. Assumere una posizione del tutto esterna rispetto ai circuiti internazionali di club e festival consente di evocare nuovamente le stagioni musicali più fertili del territorio romagnolo, raccogliendo con indipendenza le nuove forme radicali di ricerca sonora. Loose si configura come il momento più intenso della programmazione annuale di Club Adriatico, offrendo ad artisti italiani ed esteri una dimensione di totale libertà nell’espressione della loro musica, qualunque siano le forme della loro performance, esperienza o background culturale.
La terza edizione di Loose avverrà a Ravenna dal pomeriggio di sabato 29 alla notte di domenica 30 aprile. I set serali eseguiti nell’area container prima dell’apertura dell’Almagià verranno trasmessi in streaming online sulla piattaforma di Berlin Community Radio.
Un ringraziamento speciale a Matteo Pit, Marco Molduzzi, Fabrizio Brasini, Gianluca Gabellini, Giacomo Lepori e a tutto lo staff di Club Adriatico.