La sfinge nera Primo Marella / Milano

9 Agosto 2017

 

Gli artisti presentati nella mostra “La sfinge nera” alla galleria Primo Marella, forniscono al pubblico un inedito itinerario nel panorama artistico del continente africano. Mounir Fatmi e Nidhal Chamekh riflettono sulla storia, il primo rilevandone le storture attraverso l’evocazione di colpi di martello inferti su una macchina da scrivere (History is not mine [2013-14]), il secondo scompaginandone i luoghi comuni nella riedizione del ben noto busto classico di Annibale, il cui cipiglio si allenta inopinatamente in un sorriso. In quest’ambito più decisamente politico e di denuncia sociale si pone anche Trash Nationalism (2016), la bandiera di tessuto industriale dall’asta contorta e annodata di Rowan Smith. Ecco poi Yesmine Ben Khelil, che ritaglia libri come se le figure sforbiciate lasciassero un vuoto sul fondo illustrato per fluttuare e sovrapporsi ai testi, aprendo impensate combinazioni narrative; e Hassan Musa, che ottiene effetti simili intervenendo con inchiostri su stoffe prestampate. Julien Creuzet (che in realtà appartiene alla cultura caraibica), assembla oggetti e testi in modo plastico ed evocativo; mentre Cameron Platter, attraverso un variopinto lettering, stampigliato su carta o su sbilenche bottiglie di ceramica, declina una sua personale poetica afro-pop. Emo de Medeiros contamina l’idea del feticcio tribale con inserti tratti dalla cultura televisiva di massa; mentre Ouattara Watts dipinge filtrando ricordi e impressioni della tradizione africana attraverso una ben assimilata confidenza con la pittura europea. I collage su tela Black or white? (2016) di Vitshois Mwilambwe Bondo perimetrano delle sagome umane su fondo acrilico sfigurandone i connotati fisici. Abdoulaye Konaté posiziona una sopra l’altra file orizzontali di bandelle policrome realizzando mosaici tessili a frange pendule che innescano uno sbandieramento ritmico di colori. Joël Andrianomearisoa assembla una moltitudine di linguette di stoffa ottenendo rigogliosi piumaggi disposti in bande dalla compatta geometria. Moffat Takadiwa, infine intesse sculture che si dispiegano come barocchi paramenti di un’inedita civiltà consumistico-tribale.

 

Alberto Mugnaini

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