Straperetana Pereto (AQ)

12 Agosto 2017

Stra, (dal latino extra e trans), può significare eccesso, superamento, stravolgimento, ma anche rafforzare il sostantivo che lo segue. Così in “Straperetana” Paola Capata, Delfo Durante, ideatori del progetto, e Saverio Verini, curatore dello stesso, portano a Pereto, in sella a un’iperbole, un esperimento perfettamente riuscito di mostra diffusa.
A palazzo Maccafani, scenografia raffinata e decadente, i lavori di Matteo Fato stressano la pittura fino a renderla scultorea, in un gioco kosuthiano di corrispondenze tra oggetto reale e rappresentazione (Senza titolo (Argilla) [2013-2016]); mentre i dipinti noir di Dario Carratta si popolano di personaggi inquietanti che sembrano rievocare le atmosfere anni Ottanta raccontate da Andrea Pazienza (Trav Rock [2017]).
All’esterno, incastonate in diversi punti del paese, spiano il passaggio le vecchine dipinte da Fondazione Malutta (qui Thomas Braida e Valerio Nicolai). Sulla soglia che apre verso la Piana, lo spettacolo è ritardato dalla presenza della tenda/sipario di Fabio Giorgi Alberti, su cui campeggia, iconica e fluttuante, la scritta “Limits stimulate fantasy”.
Sbirciando tra le fessure di un vecchio portone, una stanza dorata, completamente foderata di coperte isotermiche, sorprende lo sguardo come una rivelazione (Maria Teresa Zingarello, Etere [2017]). Sulle tracce lasciate lungo il percorso (fotografie, vestiti, oggetti), Calixto Ramírez Correa rielabora il linguaggio dell’Arte Povera (Pistoletto e Kounellis in primis) rafforzando l’uso mimetico e performativo del corpo.
Nel Bar Schizzo Adelaide Cioni tradisce l’apparente ingenuità dei suoi enormi ghiaccioli colorati (Go easy on me, 2017), attraverso la perfezione delle sagome cucite meticolosamente a mano.
Matteo Nasini, Marta Roberti, Francesco Ciavaglioli, Alessandro Vizzini, Giovanni de Cataldo, Leonardo Petrucci, ognuno secondo la propria ricerca personale, scivolano tra le pieghe dei luoghi portandone alchemicamente in luce dettagli e visioni inaspettate.
Le performance di Elena Bellantoni (Impero Ottomano [2017]) e di Giorgia Accorsi (The noise inside [2017]) offrono riflessioni originali sui limiti, sia fisici che esperienziali.

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