L’artista contemporaneo guarda sempre più spesso alla storia per ritrovare tasselli irrisolti di un passato recente che in qualche modo ancora influisce sulla società odierna. Elisabetta Benassi è già nota per questo tipo atteggiamento che ormai la contraddistingue, specie nella dimensione site specific di certi progetti, come quello concepito per la Collezione Maramotti.
All’interno della prima fabbrica di Max Mara, ora spazio espositivo e sede della collezione, l’artista mette in relazione una serie di oggetti che appartengono alla storia del luogo così come ad altre narrazioni che si intrecciano: una macchina da stiro automatizzata che sputa vapore [Prosperity (2017)], una struttura composta da cinquemila mattoni [Zeitnot (2017)], una colonna di formelle in bronzo sormontate da un paio di guanti da lavoro [Infinity (2017)], una distesa di tappeti orientali sovrapposti che attraversano un muro [Shadow Work (2017)]. Per finire: cinque strutture metalliche a sostegno di manifesti che accompagnano il visitatore nello spazio dell’esposizione, così come all’esterno, affissioni pubblicitarie in periferia e sugli autobus che percorrono il centro storico di Reggio Emilia [It Starts with the Firing /2017)]. Le frasi che si leggono sui manifesti parlano di mattoni e rimandano a costruzioni instabili, a fallimenti, a una preoccupante perdita di fiducia nella tecnica.
Ogni scritta e ogni installazione pensata dall’artista fa riferimento a qualcosa al tempo stesso familiare e irrisolto. Le strutture sono sempre sul punto di crollare, anche se l’ingegno e la creatività sembrano essere ancora in grado di sostenerle. Tutte le opere pensate per la Collezione Maramotti nascono da una ricerca d’archivio, in modo particolare da una polemica scaturita nel 1972 in seguito all’acquisto di un’opera di Carl Andre [Equivalent VIII (1966)] da parte della Tate Gallery di Londra, accusata di avere speso una preziosa somma per comprare un’inutile ed anonima pila di mattoni. Elisabetta Benassi si serve del materiale reperito sui giornali d’epoca e nei documenti ufficiali con lo scopo di cortocircuitare il passato con il presente, riattivando così un’antica controversia dopo più di quarant’anni.