On Latinx Art / Pacific Standard Time

7 Novembre 2017

Ogni pochi anni, il Getty si imbarca in qualcosa chiamato “Pacific Standard Time” (PST), un bat-segnale alle istituzioni di Los Angeles, alle gallerie e agli spazi d’arte, per aderire a un’iniziativa diffusa in tutta la città e incentrata su un determinato argomento. Per l’edizione 2017-18, il Getty ha distribuito un pool di finanziamento di oltre 15 milioni di dollari per progetti, mostre e spettacoli presentati sotto l’etichetta “LA / LA: Latin Americano & Latino Art a LA” con sottotitolo “A Celebration Beyond Borders”.
Nel 2011-12, l’edizione inaugurale “PST: Art in LA 1945-1980”, ha affrontato l’arte postmoderna del sud della California fino alla fondazione del Museum of Contemporary Art (MOCA), che ha dato a L.A. il suo primo museo d’arte contemporanea di punta facendo rendendo nota al mondo una scena artistica losangelina fino ad allora considerata provinciale.
Alcuni, tra cui Roberta Smith del The New York Times, pensano che il programma didattico PST della Los Angeles dell’arte pre 1980 abbia lanciato l’area metropolitana su una mappa dell’art-hub a due città con New York, ma altri, come Dave Hickey, lo trovano sfacciatamente promozionale. “È stucchevole” ha dichiarato in un’intervista, sempre sul The New York Times, dicendo che era qualcosa che avrebbe potuto fare Denver.
La seconda “PST, Modern Architecture in L.A” che si è svolto nell’estate del 2013 e che è stato molto meno pubblicizzato e influente, includeva alcune gemme nascoste come la super-serie di performance di Machine Project, ma in ultima analisi è stata sconveniente per tutti tranne che per i residenti a L.A.
Con “LA / LA” iniziata a settembre 2017 e in corso fino a gennaio 2018, l’iniziativa del Getty è tornata più grande che mai, coinvolgendo settanta istituzioni da San Diego a Santa Barbara a Palm Springs e, naturalmente, la Greater L.A. area. La frase celebrativa utilizzata per questa particolare iterazione è un invito alle istituzioni ad esplorare “gli importanti sviluppi nell’arte e nella performance latinos e latinoamericana in dialogo con Los Angeles”.
La maggior parte delle istituzioni rispetta la linea del Getty, anche se coinvolgendo Santa Barbara e Palm Springs il “dialogo con Los Angeles” risulta una definizione parzialmente inesatta. E sebbene la maggior parte delle mostre sia stata aperta dopo l’opening ufficiale del 14 settembre, alcune sono già visibili dall’estate, tra cui la presentazione al MOCA del nuovo lavoro dell’artista multimediale brasiliana Anna Maria Maiolino; la mostra di pittura di Carlos Almaraz presso il Los Angeles County Museum of Art (LACMA); e una collettiva chiamata “Home-So Different, So Appealing”, sempre al LACMA.
Alcune delle mostre più promettenti inaugurate a settembre includono l’intelligentemente intitolata “unDocumenta” all’Oceanside Museum of Art, una mostra sull’essere non documentati negli Stati Uniti; “The US-Mexico Border: Place, Imagination, and Possibility” presso il Craft & Folk Art Museum; “Relational Undercurrents: Contemporary Art of the Caribbean Archipelago” al Museum of Latin American Art (MOLAA) di Long Beach; “Radical Women: Latin American Art 1960–1985” all’Hammer; “¡Murales Rebeldes!: L.A. Chicana/o Murals Under Siege” presso LA Plaza de Cultura y Artes and California Historical Society; e Laura Aguilar al Vincent Price Museum, per nominarne alcune.
Mentre i parametri della prima PST erano cronologici, questa volta il criterio è geografico, ma, inevitabilmente, anche razziale. Il censimento degli Stati Uniti del 2010 ha rilevato che la popolazione di L.A. è composta, quasi per metà (dal quarantasette al quarantanove per cento), da latinos. Ma, ad esempio, la biennale d’arte contemporanea di Los Angeles, Made in L.A. dell’Hammer Museum, ha rappresentato solo l’otto per cento di artisti latinos nel 2016. Mi vengono in mente circa cinque istituzioni d’arte propriamente latinos nell’area di L.A., e una di queste, il MOLAA, è a Long Beach.
Gli interrogativi sulla razza e sulla rappresentazione che Pacific Standard Time solleva sono rivolti anche alla struttura di potere dell’art world che controlla queste rappresentazioni. Ma i problemi con la distribuzione irregolare dei finanziamenti diventano maggiori nella descrizione dell’iniziativa, così come originariamente promossa dal Getty.
Come può avere senso il fatto che istituzioni non specificamente pendenti ai latinos, come il LACMA e il Museo d’Arte Contemporanea di San Diego, ricevano enormi sovvenzioni di 825.000 e 585.000 dollari rispettivamente, mentre l’Auto-aiuto Graphics & Art di Boyle Heights – uno  dei rarissimi no-profit effettivamente lations di L.A. – sono assegnati 36.000 dollari? I problemi vanno oltre la critica disparità dei finanziamenti, e sono da ricercare in una più lontana e fondamentale questione linguistica.
Vale a dire, “Latinos” è un termine di genere – è sempre più comune usare il termine “Latinx” in riferimento a tutte le persone dell’America Latina. È un punto cruciale, e faccio fatica ad affidarmi ad un istituto di ricerca che sta controllando la narrativa dell’arte esposta a Los Angeles per quasi mezzo anno se non riesce nemmeno ad adoperare la terminologia ancor prima dell’inzio della mostra. Il termine Latinx è ancora relativamente nuovo – è apparso per la prima volta su Internet nei primi anni 2000 – ma si sta diffondendo e questa era una grande opportunità per il Getty per diffonderlo ulteriormente.
Non solo, ma era una grande opportunità per affrontare il più grande e complesso problema che le comunità Latinx si trovano ad affrontare in questo momento a Los Angeles, ovvero quello della gentrificazione. C’è una battaglia a Boyle Heights, con i residenti (soprattutto Latinx) che boicottano le gallerie, ed è frustrante vedere come nessuno riesca ad includere questo tema all’interno di una sfera pubblica costruita per indagare gli “importanti sviluppi nell’arte e nalla performance latinos e latino-americana in dialogo con Los Angeles”. Tutto ciò fa si che l’intero concept sembri meno “stucchevole” e promozionale, e più colonialistico e revisionistico, come se lo scopo fosse quello di offrire uno spazio ai non- Latinx di intavolare discorsi su argomenti sicuri e confortevoli.
Sebbene esistano rilevanti artisti, curatori e scrittori Latinx a L.A., così come alcune interessanti voci Latinx indipendenti che vengono portate in città per curare mostre – le istituzioni guidate da Latinx nel mondo dell’arte L.A. sono poche e distanti tra loro. Se Pacific Standard Time funge come una sorta di correzione, evidenzia anche preoccupazioni istituzionali che necessitano di ulteriori revisioni. Il Getty sta mettendo a fuoco l’arte Latinx durante questo periodo, ma continuerà a favorire il dialogo dopo la fine dell’iniziativa?
Considerando la disparità tra la demografia di L.A. e la demografia del suo art world, smantellare lo status quo sembra urgentemente necessario – speriamo che il Getty aiuti ad approfondire questi temi anche oltre i primi mesi del 2018. Se non altro, Pacific Standard Time dimostra che c’è tanta eccellente arte Latinx da cui partire.

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