La vicenda artistica di Mimmo Paladino sembra procedere sin da subito controtendenza.
Alla tirannia dell’idea e all’assolutismo filosofico che caratterizza il minimalismo e l’arte concettuale intorno alla metà degli anni Sessanta, l’artista di Paduli preferisce la “visibilità dell’invisibile”, ritornando alle radici di un immaginario primitivo e lavorando alla costruzione di un universo magico composto da depositi mnemonici e culturali. Il vuoto oggettuale è così colmato da una pratica assieme archeologica e antropologica, che si nutre di miti e memorie per dispiegare, all’interno dell’opera stessa, una dimensione al di là della parola e della forma, della logica e della geometria.
Quella di Paladino è una storia di sconfinamenti dal quadro e ritorni alla tela, contraddistinta da un atteggiamento transdisciplinare – scultura, pittura, architettura, cinema, performance, editoria – che non si traduce mai in sincretismo linguistico, ma che individua e rispetta le specificità mediali: dagli environment che progetta nel 1970 per lo Studio di Arti Visive “Oggetto” di Caserta – tre ambienti sonorizzati diversamente e composti da sculture e installazioni – ai progetti cinematografici come “Quijote” (2006). L’esperienza della Transavanguardia è poi il punto di arrivo di un percorso intimo e sperimentale, “un vento che spiazza” come l’ha definita l’artista stesso, e che segna l’arte degli anni Ottanta.
Il volume dedicato all’artista, edito da Skira, è introdotto dal saggio storico-critico di Germano Celant, intitolato “Le costruzioni di Mimmo Paladino”, e seguito da una puntuale e dettagliata cronologia – a cura di Germano Celant e Diletta Borromeo – che ne attraversa l’intero percorso biografico e artistico e che comprende un insieme iconografico intervallato da dichiarazioni/statement dell’artista.
L’analisi compiuta da Celant, oltre a riconoscere il fondamentale contributo di Paladino al rinnovamento della pittura, fornisce una riflessione, metodologicamente e storicamente mirata, in merito ai rapporti e alle influenze dell’artista con le esperienze concettuali e poveriste, individuando territori di pensiero comuni e soluzioni artistiche differenti.