Francesco Lo Savio Mart / Rovereto

6 Marzo 2018

Un’arte che aspira al limite dell’immateriale e dell’invisibile, una ricerca di perfezione e di infinito (o di una “demondificazione”, come suggeriva Emilio Villa): è quanto ha ostinatamente perseguito Francesco Lo Savio.
Fin dai grandi dipinti in resina sintetica di SpazioLuce (1959): tele che presentano delle sottili variazioni di colore che vanno dal centro ai lati del quadro, come soli affogati, ardenti all’interno e poi, via via, sempre più spenti. “La luce non è per me la conseguenza di un’immagine, ma la somma di diverse immagini in continuo movimento”, dice lo stesso artista. È un espandersi della luce da un nucleo circolare al bordo statico della superficie, un suo con-fondere cerchio e quadrato. I Filtri (1959-60) esibiscono una spazialità nascosta e insieme rivelata, data da una stratificazione di superfici semitrasparenti, dove il dinamismo non è più un fatto teorico, ma un fatto reale. Saranno però i Metalli (1960) che permetteranno a Lo Savio di uscire davvero dal rettangolo pittorico e a iniziare a lavorare nelle tre dimensioni. Si tratta di entità primarie e austere, piegate e assemblate con precisione maniacale. Qui, il nero elimina ogni dato atmosferico e ogni significato materico, le sue articolazioni creano una relazione spazio-dinamica con l’ambiente, realizzando quel sogno di contatto tra opera e artista che ha sempre interessato l’artista. Fino alle Articolazioni totali (1962), cubi di cemento bianco opaco con dentro superfici curve di metallo nero. Sono immagini monolitiche che come astrali “cellule abitative” mettono in rapporto interno ed esterno, aperto e chiuso, luce e ombra. In mostra anche alcuni modellini per Maison au Soleil (1962), progetto di una visionaria casa destinata a catturare la luce di ogni ora del giorno. C’è pure una bacheca, dove sono esposti “progetti per giunti architettonici”. Ma soprattutto ci sono appunti, disegni, foto di tavole anatomiche finora sconosciute: forse un’ossessione per la complessità del corpo umano, che porta la ricerca di Lo Savio al di là di ogni estetica minimalista e fa intuire invece una creatività in cui luce/uomo/spazio sono coinvolti in un dialogo totale.

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