“Cows by the Water” è il titolo fra il surreale e il bucolico dato alla retrospettiva dedicata ad Albert Oehlen da Palazzo Grassi. Con circa ottanta opere che spaziano dagli esordi fino a quelle recenti, è la mostra monografica più completa del pittore amburghese in Italia.
La disposizione tuttavia non segue una cronologia lineare, nelle sale si succedono lavori di periodi diversi in un percorso che interrompe, sovrappone e reitera il flusso temporale; quadri di varie produzioni vengono associati come in un contrappunto polifonico, in parte improvvisato e in parte ricercato. Serpeggiando fra le serie emerge l’evoluzione stilistica dell’artista che debutta con la pittura figurativa durante l’apogeo del Concettuale (fra gli anni Settanta e Ottanta), vira a fine anni Ottanta verso l’astratto, e infine fa riemergere l’immagine attraverso escamotage, dal collage alla stilizzazione, durante gli anni Novanta, in un perpetuo moto oscillatorio fra la distillazione astratta e il riciclo figurale. Questo vagare tra un periodo e l’altro rispecchia fedelmente quell’ondivago atteggiamento che Oehlen ha verso la pittura stessa, trattata, al contempo, con troppa e troppo poca serietà. L’artista ne analizza le condizioni, la demistifica e la stressa al punto da farla collassare su se stessa.
Che cosa chiediamo oggi alla pittura è un quesito soggiacente l’intera mostra; quello che Oehlen sembra risponderci è l’elaborazione di un metodo e il superamento dei limiti formali più che la rappresentazione di un soggetto. Per tale ragione queste opere (o “territori” come li definisce il critico Jean-Pierre Criqui nel catalogo) sono palinsesti sedimentati delle sperimentazioni di Oehlen – strati che interferiscono rizomaticamente fra loro.
Coerentemente con l’anticronologia della mostra emergono le caratteristiche dell’eclettico tocco pittorico dell’artista: in un rapsodico uso di frammenti ritroviamo un tenue colorista rococò nella serie Elevator (2016), un feroce fauvista nella serie FM (2008-2010-2011), un collagista ossessivo-compulsivo nel ciclo I (2009-2011-2013), sempre accompagnato dalla fusione di gestualità informale alla de Kooning e Twombly, con la ruvidità dei Neue Wilde e il modus operandi dei suoi maestri Polke e Baselitz. In conclusione, come recitava un aforisma di Valéry, l’opera d’arte deve farci capire che non siamo riusciti a capire quello che vediamo, Oehlen e il suo pensiero visuale lo esemplificano perentoriamente.