Matthew Lutz-Kinoy e Ola Vasiljeva Indipendenza / Roma

17 Maggio 2018

Indipendenza si presenta ancora una volta come incubatore di incontri, inaspettati quanto felicemente riusciti. Con lo charme di una residenza borghese in sontuosa decadenza, le preziose carte da parati ingiallite dal tempo e gli affreschi scrostati, lo spazio accompagna la mostra come un ospite tutt’altro che discreto, egualmente complice insieme alle opere che si trova ad accogliere.
Questa volta, gli artisti Matthew Lutz-Kinoy e Ola Vasiljeva espongono insieme a Roma invitati da Gigiotto Del Vecchio e Stefania Palumbo (Supportico Lopez). “Song and Love”, titolo della mostra, rimanda alle atmosfere sensuali e oniriche in cui i corpi disegnati di Lutz-Kinoy e gli oggetti antropomorfi di Vasiljeva interagiscono instaurando una “corrispondenza di amorosi sensi”; allo stesso tempo allude al coinvolgimento totalizzante della percezione umana in cui le forme rarefatte di suono e sentimento sono restituite visivamente allo stato solido.
L’aspetto scenografico è funzionale e implicito in entrambe le ricerche, che si alimentano attraverso la condivisione di una (o molteplici) trame narrative. Così nel pannello Cinq à Sept di Vasiljeva e nelle tele dipinte a spartiti musicali (Simphony) di Lutz-Kinoy la musica si fa sostanza. Il lavoro della prima dà vita a oggetti di dubbia identità che evocano forme note, tra la moda e il design, per smentirle poi immediatamente. Lo spettatore si trova a percorrere un ambiente labirintico dove si alternano dimensione domestica e più esplicitamente voyeuristica, intima e più apertamente pubblica. I dipinti di grandi proporzioni di Lutz-Kinoy scandiscono la superficie come quinte teatrali oppure occupano posizioni insolite, adagiate a terra o incastonate nella volta del soffitto, creando un moto ascensionale dello sguardo che abbandona le gerarchie classiche di visione e conduce il visitatore verso una nuova dimensione fruitiva.
Le dodici maschere in ceramica raffiguranti i mesi dell’anno realizzate dall’artista newyorkese, sono esposte a parete quali volti assemblati, contenitori schiacciati e rovesciati, che richiamano le fattezze africane di ispirazione picassiana (Masks: Gennaio/Dicembre, 2018).
La mostra si trasforma in un luogo in cui piacere e memoria si mescolano creando l’effetto di un boudoir, di una finestra spazio-temporale indefinita quanto efficacemente conturbante.

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