Nel “Trastevere art-district” romano, a Piazza dei Ponziani 8, nasce CASTRO da una tua idea. Hai attinto alla romanità, un chiaro riferimento alle tue origini, per dare il nome al progetto. Ce lo racconti?
Il nome è l’ennesimo suggerimento di amici, nasce un po’ per caso. A me è piaciuto subito. Racchiude una serie di significati ai quali però non diamo troppo peso, più che altro è la sonorità “romanaccia” della quale siamo fieri. CASTRO è anche l’acronimo di Contemporary Art STudios ROma. E poi è l’italianizzazione di castrum, che in latino corrisponde all’accampamento nel quale risiedevano le unità dell’esercito romano, che alle volte si evolvevano in vere e proprie città. Mi piace immaginare che sia l’inizio di qualcosa, o forse proprio un accampamento!
Un potenziale accampamento in cui convivono artisti e curatori: come?
CASTRO accoglie annualmente a rotazione fino a cinque artisti e un curatore sotto i quarant’anni, selezionati da una giuria internazionale, offrendo loro uno studio dove lavorare. Ospiteremo una serie di project presentations, seminari, screenings, talk e tavole rotonde con artisti e curatori. Il programma privato si intreccerà a un programma pubblico rivolto alla comunità nazionale e internazionale. I CRITS, inoltre, costituiranno l’essenza di CASTRO e il momento di maggiore scambio fra gli artisti ospiti in studio, quelli di base a Roma o in residenza presso gli istituti stranieri e quelli di passaggio in città.
Sei un’artista e non solo. Durante i tuoi studi alla Goldsmiths hai respirato il clima londinese, dove la realtà dell’artist-run space (penso a SET di cui hai fatto parte) è una consuetudine e una forma di connessione molto forte nell’ambiente artistico, capace di generare progetti e sinergie. Colmi una mancanza a Roma?
Credo di sì. E non lo dico con fierezza o per accentuare l’originalità del mio progetto. Anzi, lo dico con la speranza che sia il primo di molti. Il mio augurio è che CASTRO rappresenti un luogo, a Roma, dove condividere le proprie esperienze di fondazione e gestione di spazi legati all’arte contemporanea nel mondo.
CASTRO è un contenitore in potenziale e costante evoluzione. Sembrerebbe essere inoltre un sistema meritocratico che accoglie gli artisti selezionati da una giuria esterna alla quale tu, però, non prendi parte. C’è una volontà precisa in questo?
Non etica, tecnica direi. Ho il mio studio a CASTRO, di conseguenza non sarei imparziale. C’è anche un’altra ragione. Al terzo anno di università in studio mi hanno affiancata a uno degli studenti, per me, peggiori dell’anno. Siamo stati costretti a parlare e dopo qualche tempo abbiamo iniziato a collaborare. Il mese scorso abbiamo fatto una doppia personale a Londra. Oggi è il mio artista preferito. Questo per dire che, alle volte, una scelta casuale e non voluta di studio-neighbour può rivelarsi la migliore.
Le selezioni si sono chiuse recentemente: puoi svelarci i nomi degli artisti e dei curatori?
Volentieri. Sono entusiasta dei risultati e delle dinamiche scaturite durante il processo di selezione. Gli artisti sono: Catherine Parsonage, Joshua Hopping, Caterina De Nicola, Jennifer Taylor, Lorenza Longhi e Olivia Erlanger. I curatori sono Vincenzo De Marino e Alberta Romano.
“Studio Program” è il concetto alla base di CASTRO. L’importanza della ricerca e della relazione che ci tieni a instaurare fra questa, l’artista, il curatore e il pubblico sono elementi avvalorati da una scelta: niente mostre. Sciogli l’artista da vincoli temporali posti alla propria produzione e sollevi il curatore dall’obbligo della curatela di una mostra, come accade spesso nei programmi di residenze, già scritta. Vuoi aggiungere qualcosa?
Vorrei aggiungere che CASTRO è un progetto aperto in tanti sensi, non solo ad artisti e curatori ma anche a chi ha in mente side projects, a chiunque voglia partecipare alle conferenze o tenere tutorial e studio visit. Tanto, tranne mostre. Inauguriamo il 9 Novembre, non vedo l’ora!