Il perno della mostra di Sarah Sze alla sede romana di Gagosian è senza dubbio l’immagine: un’immagine che diventa oggetto, scultura, esperienza, tempo.
Richiamato dalle gettate di pittura bianca, quasi scie, versate dall’artista sul pavimento, lo spettatore è condotto nella maestosa sala ovale della galleria, oscurata e ipnotica. Un ventre buio, rischiarito dall’installazione Timekeeper (iniziata nel 2015) attira il pubblico verso proiezioni, fotografie, schermi, fonti luminose, suoni che si rincorrono e si alternano in una sorta di danza “del sensibile”. Immediato e spontaneo è il parallelo con il mito della caverna di Platone. Nel buio si percepiscono immagini familiari di persone, animali, oggetti, paesaggi, stranianti scene in movimento che appaiono e scompaiono per fondersi con la luce e l’oscurità. Eppure, in quest’antro, avviene qualcosa che va oltre il tempo presente e le sue rappresentazioni. Sze esplora l’origine dell’immagine in movimento, attuando un’analisi sull’infinito flusso di informazioni che quotidianamente ci sommergono. Timekeeper è al contempo un’assemblage scultoreo e uno strumento funzionale alla sua stessa esistenza: proiettore e generatore non solo di forme, ma di informazioni, di associazioni di senso, di spazio e di tempo.
Come dichiara l’artista, il lavoro è un’esperienza di qualcosa di vivo e non solo un’esperienza dal vivo. In effetti Timekeeper da l’impressione di essere un organismo pulsante e vivente. Sono le immagini prodotte dall’opera a mutare il nostro senso del tempo, proiettandoci in una dimensione distinta da quella vissuta. Assumendo la forma di un collage tridimensionale, Timekeeper trattiene ed espande momenti e ricordi che possono essere rivisitati da ogni individuo in un personale asse crono-spaziale.
In maniera simile agiscono i quadri esposti nei “white cube” delle sale rimanenti. Anche in questo caso, l’artista ha voluto mettere in discussione la possibilità generativa del medium. Attraverso stratificazioni di pittura, fotografie, carte, inchiostro, le opere apparentemente bidimensionali, si trasformano in superficie scultorea, innescando il gioco della mutazione del visivo in collisione alle infinte sfumature della percezione, attirate nella rete della vita stessa.
Sze costuisce un nuovo sistema di ordine che allude ai modi imprevedibili in cui il tempo viene vissuto e impressionato sulle nostre vite dalle immagini e dagli eventi che ci appartengono. Non solo bagaglio da archiviare ma da ricollocare e ripesare. Il lavoro dell’artista genera una archeologia a venire, svelando frammenti di un oggi da destinare a un futuro.