“say ahh…” è il curioso titolo che accompagna la mostra presso Indipendenza studio, curata da Marta Fontolan, in cui le opere di Adam Stamp (classe 1985) – prevalentemente realizzate nei suoi due mesi di residenza romana – dialogano con quelle del suo maestro Larry Johnston (1959) e con le serigrafie di Sister Corita Kent (1918-1986). Un confronto generazionale, quindi, ma anche un incontro tra due realtà diverse e al contempo affini, quella di Los Angeles, da dove provengono o risiedono gli artisti, e quella di Roma che ospita temporaneamente i loro lavori.
Il contrasto è quasi palpabile nell’inevitabile sfida che un luogo come Indipendenza impone; i soffitti affrescati, le carte da parati e un’usura tutta da decadenza romana costituiscono il primo dialogo da dover sapientemente sostenere. Questa frattura tra due luoghi apparentemente non accumunabili diviene meno profonda qualora si legga il testo della mostra, a firma di Geoff Manaugh, tratto da Greater Los Angeles, pubblicato nel 2007 sul suo blog BLDGBLOG. Lo scrittore della Weast Coast ci parla della Los Angeles di cemento e di parcheggi, di indifferenza e di libertà; molte delle sue parole potrebbero essere applicate a Roma, probabilmente a quella parte della città meno nota, periferica e assurda, e quando si legge che L.A. è l’apocalisse non si può in fondo che pensare che lo è anche la capitale nostrana.
Tre generazioni di artisti californiani si trovano quindi a conversare nei grandi ambienti dell’appartamento romano in un confronto più serrato nella prima parte della mostra, per poi lasciare il posto prevalentemente alla produzione romana di Stamp.
I messaggi politici di Sister Corita Kent – che negli anni Sessanta si è distinta per avere lottato in favore dei movimenti per i diritti civili attraverso l’arte e l’educazione – abbracciano il mondo stilistico della Pop Art con un velo di poesia e dialogano con la sottile ironia di Larry Johnson il cui Untitled (Heh, Heh) del 1987 svela in parte l’origine del titolo della mostra. Il giovane del gruppo, Stamp, si inserisce tra i due con interventi a volte di forte impatto frontale e in altre occasioni, invece, quasi sussurrati. Se in Sorry’s Sign (Bar for Toronto) del 2017 Stamp sembra quasi voler rispondere agli slogan e alle lunghe citazioni presenti nelle sette serigrafie di Sister Corita Kent che gli sono di fronte, in Hanging Up My Hat (2018) ci introduce in un mondo più complice, fatto di rimandi alla permanenza romana e alla cultura italiana. L’insieme di iconografie, a volte contraddittorie, vuole farsi morbida e intima attraverso interventi scultorei in ottone – aste e corrimano – che danno la possibilità di prendere fiato prima di ricominciare l’immersione nel suo mondo diaristico, colmo di citazioni e rimandi. La seconda parte della mostra, infatti, propone in apertura un’inedita versione in ceramica di un gruppo di secchi inutilizzabili per poi dedicarsi prevalentemente alla produzione su carta. A parete vi sono molti disegni realizzati a Roma, collage mnemonici con scansioni, interventi a penna o a matita colorata su carta intestata di Indipendenza dove si passa dall’aperitivo Spritz e il logo Roscioli – nota salumeria della città – sino al ritratto di Gramsci, al Cimitero Acattolico, al signor Bialetti e a vere tracce di caffè. Che si tratti, in fondo, per lui, di una vacanza romana, si evince dalla scritta intessuta sul cappello da baseball di Hanging Up My Hat laddove “Vacanze” utilizza il font del poster originale della versione italiana di “Roman Holiday” così come avviene in “La Dolce Vita” ricamata sull’asciugamano bianco lasciato cadere in un angolo.
L’espressione “say ahh…”, quindi, sembra voler indirizzare lo spettatore, guidarlo alla sorpresa prima e alla compiaciuta comprensione poi, ma rinvia anche al volto che la asserisce e al cenno che la accompagna perché il gesto sembra essere il protagonista silente della mostra, dal cappello appeso all’asciugamano caduto sino al lasciarsi andare al caos e al vuoto, non quello del “no one cares” di Los Angeles di cui ci parla Manaugh ma a un più perturbante no one is able to care di Roma.