Il desiderio di testimoniare la nascita di nuovi paradigmi identitari, conoscendo e riconoscendo sé stesse nei corpi e nello sguardo altrui, è ciò che accomuna le ricerche delle cinque fotografe protagoniste di “Soggetto nomade” al Centro Pecci.
Unite da un’osservazione intima e partecipata, le loro immagini ci mostrano i modelli, le lotte e il dolore dei soggetti femminili nell’Italia degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, attraverso tutto lo spettro della scala di grigi, dalla fotografia di moda all’antropologia visiva e poetica. Il titolo, che riprende il pensiero di Rosi Braidotti, descrive uno stato mentale ancor prima che fisico, in cui la soggettività evita di insediarsi e arrendersi alle modalità di pensiero codificate dalla società. Tale nomadismo della coscienza è evidente nella serie che Lisetta Carmi dedica a una comunità di transgender genovesi, ritratti nell’intimità del loro quartiere (I Travestiti, 1965-1971). La libertà che traspare dai loro sorrisi racconta una femminilità che rifiuta il ruolo e le aspettative sociali legate al genere sessuale di appartenenza. “Fotografando i travestiti”, racconta Carmi, “ho capito che non esistono gli uomini e le donne, ma solo gli esseri umani”. “Non esistono comportamenti obbligati”, ma identità in cui potersi rispecchiare. Anche i ritratti di attrici e intellettuali di Elisabetta Catalano rendono visibili nuove identità, esaltando l’individualità dei propri soggetti. Come spiega la fotografa, “cerco di far assomigliare le modelle a sé stesse”, creando nuovi esempi di femminilità particolari, lontani dagli stereotipi della fotografia di moda. Stereotipi che invece tornano nelle immagini realizzate da Marialba Russo nei carnevali del Sud Italia (Travestimento, 1975-1980). Nel suo catalogo di volti maschili truccati da donna non vediamo infatti adesioni a un’identità ma solo maschere che esagerano e distorcono i tratti femminili. Al contrario i reportage di Paola Agosti e di Letizia Battaglia testimoniano altre forme di autodeterminazione, rispettivamente le rivendicazioni del movimento delle donne e l’impatto sociale della mafia in Sicilia. Se Agosti ci mostra dall’interno le lotte pubbliche, reiterandone e amplificandone i messaggi, dall’altro Battaglia si concentra sulle ferite private dei suoi soggetti femminili, adolescenti il cui sguardo fin troppo maturo è lo specchio con cui l’artista legge la storia e rilegge la propria interiorità.