“Suono nudo” di Marco Giordano è un percorso attraverso diverse percezioni sensoriali, stimolate da parole, oggetti e suoni che costruiscono un delicato equilibrio tra loro e con lo spazio che li ospita, occupandolo in maniera ludica e inaspettata. Fioraio nella quotidianità e galleria all’occorrenza, Tarsia si presenta come un luogo fortemente connotato, con il quale diventa necessario scendere a patti. Le sculture di Giordano lo fanno integrandosi come se ne avessero sempre fatto parte, suggerendo recipienti pronti ad accogliere la merce in vendita ma al tempo stesso provocando un effetto perturbante, dato dalla convivenza di familiarità ed estraneità delle forme. Punto di partenza è il tintinnabulum, gingillo in uso nell’antica Roma che combinava forme falliche a elementi sonori grazie ai suoi pendagli in movimento. Funzionale sia come allarme che come scacciamalocchio, questo oggetto incarna l’incontro tra sensualità e sonorità allo stesso modo in cui le sculture di Giordano giocano con questi due elementi: da una parte le aperture diventano possibili fori da penetrare, dall’altra le lucide protuberanze invitano all’esperienza tattile, ispirando una volontà di interazione con un oggetto che presenta caratteristiche organiche.
La dualità tra artificiale e naturale si fa filo conduttore che attraversa lo spazio, aiutata dalla natura dello stesso; l’indefinitezza delle forme che lo abitano trova ulteriore conferma nelle sculture di teste dalle quali fuoriescono erbacce che nascono e crescono in maniera spontanea (asnatureasintended, 2016). Ritratti dell’artista affidati alle mani inesperte di amici e conoscenti, questi volti sfuggono a una vera definizione fisiognomica, trasformandosi in traduzioni soggettive cui si associa l’imprevedibilità della crescita vegetale sporca, imperfetta, opposta all’estetismo ricercato dalle piante in esposizione per la vendita. L’indefinitezza è anche di genere, laddove invece le sculture sospese evocano falli, aperture anali e vaginali senza descriverne con precisione nessuna, lasciando irrisolta la domanda sulla natura e la funzione di questi oggetti che, oltre a suggerire sonagli, contenitori e dildi, diventano anche megafoni in occasione della performance realizzata nel corso dell’inaugurazione. Pronunciate dai performer che utilizzano le cavità delle sculture come amplificatori, le parole che compongono la poesia sonora scritta dall’artista si ripetono, si inseguono e si sovrappongono in un climax crescente che simula la strada verso l’orgasmo. Nel silenzio che segue la fine della performance si ritorna alla nudità degli oggetti, alla loro lucidità accattivante e respingente, come nudo è il suono che questi sommessamente producono.