Nel libro secondo dell’Idea de’ pittori, scultori et architetti (1607), l’artista e teorico manierista Federico Zuccaro propone un’etimologia del termine disegno che appare assolutamente inventata. “Come si può vedere dalle istesse sue lettere senza altra dichiarazione”, scrive Zuccaro, disegno è “segno nel nome di Dio”.
L’ambiguità di questo “compito metafisico” che Zuccaro assegna al disegno sembra essere il terreno da cui muove e si sviluppa la pratica di Marco Pio Mucci. La mostra allestita negli spazi milanesi di Castiglioni e intitolata “Risorgeremo”, ci permette di indagarne i primi esiti, perché amplifica o rimodula alcuni dei caratteri che l’artista ha già sperimentato su media differenti – soprattutto il fumetto e la scultura. Le nuove produzioni di Mucci procedono in due direzioni apparentemente divergenti: da una parte il disegno, inteso come collezione di situazioni eterogenee, nelle quali l’artista dissemina e giustappone una pluralità di elementi, dall’altra, le prove pittoriche, che assomigliano più a degli studi preparatori senza centro che a vere e proprie composizioni coerenti. Pur lavorando su frammenti, su brandelli, Mucci assembla partiture ordinate secondo un medesimo respiro. È come se l’artista avesse preso atto di un’avvenuta catastrofe, di una deflagrazione, e cercasse di individuare alcuni punti fermi: sebbene inscritti in un orizzonte precario, i suoi lavori rappresentano progetti identitari che si nutrono, interamente, di un immaginario cattolico-cristiano. Questa proposta identitaria non assume, però, il profilo tristemente reazionario di una barbara litania nazionalista, piuttosto, si fa interrogazione insistente sul senso ultimo di una personale posizione nel mondo.
Mucci si affida allora alle origini, alle radici, quindi le contamina con influenze contemporanee e mitiche: sul retro del suo lavoro pittorico Double face (2019) emerge la crocifissione del buon ladrone; dal fondo del disegno Ogni sorso mi ricorda chi sono #2 (2019), invece, si intravede la copertina dell’album Illmatic (1994) di Nas, mentre le tracce di narrazioni originarie appaiono in Minotauro (2019), dove il corpo della figura taurina domina il primo piano di un dipinto in cui è presente anche la strada protagonista di O’ Tauto – il secondo numero della serie di fumetti Sgomento, ideata da Mucci assieme all’artista Matteo Pomati.
Tuttavia, è soprattutto nei lavori di piccolo formato, realizzati su carta con biro e carboncino, che si rivela uno degli aspetti determinanti della sua pratica. Simili a quei romanzi massimalisti che tengono assieme una serie indefinita di storie, queste opere guadagnano dal fumetto un andamento discorsivo, mentre si portano dietro quel carattere a-centratoche connota le sue produzioni pittoriche. Conscio che, come ha scritto il Borges de L’Aleph, “la soluzione del mistero è sempre inferiore al mistero stesso”, Mucci pensa ai suoi disegni come scritture insondabili, unite da un comune impenetrabilità, così che fede e arte somigliano sempre più a due mani tese nell’oscurità.
La presenza della parola all’interno di questi universi a-centrati ha il valore di un enigmatico indizio: “Pittore della madonna”, si legge a lato di una sua composizione – su un foglio sciolto accanto a una bottiglia di tequila Espolòn. Quasi come volesse prendersi gioco di chi si appresta a calarsi nella grammatica dei suoi lavori, Mucci sembra dirci che non saremmo mai in grado di svelare le motivazioni sottese ai suoi gesti. Questa illeggibilità esibita che pervade l’opera dell’artista è, senza dubbio, alimentata da una poetica che attinge a piene mani al vissuto personale. Soprattutto in Untitled (2019) e nella serie Ogni sorso mi ricorda chi sono (2019), ad esempio, risuonano le ambizioni dell’emigrato che è “riuscito a farcela”, e che allora festeggia, con sigari e tequila, ma che a ogni passo, ostinatamente, ricorda la provincia, quasi in un misto di orgoglio e malinconia.