Lampi silenziosi squarciano il buio della notte, confondendosi con le luci intermittenti dei bambini che, giocando con il fuoco, ci accompagnano come lucciole sugli argini del fiume Maici, ramo del Rio delle Amazzoni e territorio della ristretta popolazione semi nomade dei Pirahã.
Il nostro ingresso avviene tramite lo sguardo di una videocamera che, passando dalle mani dell’artista a quelle dei soggetti osservati, documenta la loro socialità notturna mentre i classici punti di vista etnografici vengono invertiti. Sono invece le parole dell’antropologo Marco Antonio Gonçalves a introdurci alla loro cosmologia stratificata, così interessata a sviluppare “verticalmente” il proprio universo verso altri piani del reale da minimizzare gli sforzi e investimenti nel mondo materiale, vissuto nella frugalità di cacciatori-raccoglitori e nella sporadicità dei contatti con l’esterno (Somos apenas corpos, 2016-2019).
“Sono a malapena un corpo”, le prime parole raccolte sul campo da Gonçalves, suggeriscono una visione del sé porosa, aperta agli altri piani del reale e alla condivisione comunitaria della vita, materiale e immateriale, dove l’ambiente è parte di tale corpo sociale e il corpo parte di esso, senza confini distinti.
Bismuth testimonia così altre possibilità di essere umani, all’interno di quella natura piena di potenzialità ecologiche, culturali e linguistiche quale la foresta Amazzonica. L’uso del video permette al contempo di sottolineare la distanza e avvicinare due culture: la nostra, che vive e riflette costantemente sulla realtà attraverso la sua traduzione in immagini, e quella dei Pirahã, che sembra non lasciare tracce se non per le impronte passeggere sulla sabbia. Gli strumenti dell’antropologia visiva diventano così dei vettori di empatia, schermi, specchi per riflettere la nostra immagine in quella più sfuggevole e musicale dei Pirahã, considerati non solo protagonisti ma attivi collaboratori nella costruzione dei filmati.
Nel secondo video Hiaitsiihi (2016-2019), queste stesse spiagge sono infatti il paesaggio dove raccogliere nuovi esempi della loro quotidianità e della loro lingua tonale che, oltre a essere parlata, è fischiata durante le battute di caccia, gridata nella pioggia, mormorata ai neonati e cantata nei rituali. Nella loro semplicità formale, le immagini, presentate senza tagli o correzioni, riducono il ruolo dell’osservatore esterno a quello di testimone muto, lasciando che siano i Pirahã a parlare, senza bisogno di interpretazioni aggiuntive. L’unica traduzione è quella della videocamera, capace di riverberare le forme estetiche dei loro rituali e della loro musicalità, i cui suoni si muovono lentamente sulle acque del fiume, trovando eco nei canti degli uccelli e mescolandosi alla foschia luminosa della nebbia mattutina.