“the eye, the eye and the ear”, a cura di Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli, è la prima esposizione istituzionale in Italia di Trisha Baga e riunisce cinque installazioni video che indagano la relazione tra il corpo e l’evoluzione della tecnologia visiva, ripercorrendo la produzione dell’artista, dal suo primo lavoro There is no “I” in Trisha (2005-2007/2020), concepito come una sitcom televisiva che gioca con gli stereotipi di genere in cui Baga interpreta tutti i ruoli, alla più recente opera 1620 (2020) realizzata per l’occasione. Come una mise en abyme, la mostra è un percorso lungo i media che hanno scandito la pratica di Baga, passando dal VHS, al DVD per arrivare al 3D, e affonda le radici nella sua pratica performativa. Gli stessi spettatori sono chiamati ad attraversarla con le lenti stereoscopiche degli occhiali 3D. L’artista presenta inoltre una ricca selezione di ceramiche realizzate dal 2015 e sei lavori della serie Seed Paintings (2017), composti da semi di sesami e da tavole di legno di diverse dimensioni.
Il display della mostra rimanda agli allestimenti caratteristici dei musei di storia naturale, non solo nella presentazione delle opere, ma anche per un approccio classificatorio inconsueto che mette in relazione l’idea di fossile a dispositivi tecnologici, come gli assistenti personali virtuali, creando dei corto-circuiti temporali.
Attraverso il suo sguardo ironico e umoristico Baga riflette sull’eccessivo affidamento e sulle speranze che riponiamo nella tecnologia, rivelandone così gli aspetti più fragili e fallimentari.
Il titolo “the eye, the eye and the ear”, frammenta e particolareggia i sensi attivi nell’esperienza di mostra, in cui gli effetti visivi replicano e richiamano quelli sonori quasi a concepire la narrazione come un organismo vivente.
I visitatori vengono accolti nello spazio espositivo da una scritta a muro, Orlando (2015-2020). Il testo è un estratto dalla prefazione del libro Half Mile Down del 1926 del naturalista e scienziato William Beebe, in cui viene spiegato il processo di stampa del volume stesso. Baga ha però sostituito alla parola “book” (libro) il termine “man” (uomo), dando vita a un paradossale scambio di identità tra essere umano e oggetto. L’opera funge così da dichiarazione sul progetto di mostra, mettendo in relazione il corpo umano con artefatti materiali e culturali ed evidenziando uno degli aspetti centrali della pratica di Trisha Baga. Come titoli di testa e di coda dell’esposizione, la scritta è riprodotta invertita anche all’uscita dello spazio dello Shed.
Situato subito dopo l’ingresso alla mostra, il “corridoio geologico dell’evoluzione” dei manufatti della civiltà – come viene definito da Trisha Baga – si presenta come una raccolta di oltre trenta ceramiche, realizzate dall’artista dal 2015 a oggi. Cagnolini che sembrano sfingi in miniatura, figure della cultura pop, per esempio la drag queen e personaggio televisivo RuPaul, dispositivi elettronici e oggetti, come telefoni retrò, proiettori di diapositive o microscopi, sono i soggetti di queste sculture, che appaiono quasi fossilizzati nella ceramica e posti su plinti: elementi della vita quotidiana dell’artista e tracce del presente e del passato diventano ironicamente reperti da esporre nei musei.
Sul lato opposto Baga colloca la nuova opera realizzata in occasione della mostra in Pirelli HangarBicocca, 1620 (2020). Questa video installazione si ispira alla leggendaria Plymouth Rock, che rappresenta simbolicamente lo sbarco dei Padri Pellegrini e l’origine degli Stati Uniti d’America. Come dichiara l’artista: 1620 è un racconto impressionistico di fantascienza, in cui Plymouth Rock viene reimmaginata come una fonte di “narrative stem cells” (cellule staminali narrative) nelle mani di genetisti, che studiano i difetti radicati nella storia dell’America. Baga impiega il mezzo cinematografico per ripercorrere le vicende immaginifiche della mitica roccia e delle sue ripetute frammentazioni nel corso dei secoli, tracciando allo stesso tempo un parallelo storico-culturale con quelle del suo paese.
Il centro dello spazio espositivo è dedicato a due installazioni che hanno avuto un ruolo determinante nel definire il lavoro di Trisha Baga, There is no “I” in Trisha (2005-2007/2020), il suo primo video, e Madonna y El Niño (2010-2020), presentato in una nuova versione in 3D. Nella prima opera un salotto, che sembra ricalcare il tipico set delle commedie americane, accoglie i visitatori, mentre su un monitor viene trasmessa una sitcom interpretata dall’artista. Il video riprende alcune delle caratteristiche di questo genere di serie televisive come Friends o Frasier – risate registrate di sottofondo, trame leggere e personaggi sterotipati – per mettere in scena una riflessione sui ruoli di genere, sulla sessualità, sulle norme sociali che li regolano e sulla loro rappresentazione da parte dei media. Il titolo della seconda installazione, Madonna y El Niño, dà origine a molteplici rimandi, da una parte l’iconografia cristiana della Madonna con il bambino, dall’altra la cantante Madonna e il fenomeno climatico El Niño. Concepito come uno studio linguistico sulla produzione creativa della popstar nel periodo in cui i DVD erano il principale supporto domestico per la riproduzione video, il lavoro combina materiale preesistente di Madonna con footage originali dell’artista, che diventa riflesso, pubblico, metafora, controfigura, regista, e infine, schermo di proiezione. Di fronte allo schermo di proiezione è posizionata una palla da discoteca, che frammenta e riflette i pixel del video per simulare gli effetti dei mutamenti climatici provocati da El Niño, e che rappresenta le trasformazioni di un corpo-immagine attraente e invitante.
Come a conclusione di questo percorso immersivo nelle installazioni video di Trisha Baga viene presentato uno dei lavori più recenti, Mollusca & The Pelvic Floor (2018). Vicina al linguaggio tipico dei film di fantascienza holliwoodiani, tra cui Gravity e Contact, l’opera si addentra in un viaggio la cui trama è fitta di incursioni tra il reale e il virtuale. Mollusca è il nome omofono con cui l’artista chiama Alexa, l’intelligenza artificiale sviluppata da Amazon, e la loro relazione è simbolo di metamorfosi e di contatto tra specie diverse. Come spesso accade nei lavori di Baga, il racconto sullo schermo non ha una fine definita, e si espande entro accostamenti sinestetici, intuizioni e geografie disparate che trascendono universali forme di comunicazione.