Il Museo Nivola inaugura la prima mostra della stagione post-lockdown con una panoramica dei lavori di ventisette artisti sotto i quarant’anni che riflettono la ricerca dell’ultima generazione in Sardegna. Rimarrebbe però deluso chi volesse rintracciare nella rassegna discorsi identitari, appelli alle radici etniche o a indimostrate costanti antropologiche, chiavi di lettura di prammatica nel contesto sardo – approcci piuttosto comuni quando si riuniscono degli artisti sulla base dell’appartenenza geografica. I curatori Giuliana Altea, Antonella Camarda e Luca Cheri sono per contro attenti a sottolineare che “le artiste e gli artisti selezionati per ‘Back_Up’ sono nati in Sardegna, ma questo dato biografico non li definisce.” Non solo molti di loro gravitano fuori dall’Isola, e la metà non vi risiede, ma la varietà delle loro ricerche nesegnala la capacità trasformativa e la versatilità; per loro, la dimensione locale non è che la premessa di esperienze e percorsi internazionali.
Se emerge una predilezione per la pittura, questa è declinata in molteplici varianti stilistiche: si va dalle immagini biomorfiche di Siro Cugusi, modellate con impasti densi e materici, all’espressionismo di Narcisa Monni, dalla figurazione acida e sospesa di Irene Balia a quella violentemente deformata di Silvia Mei; dalle atmosfere surreali, se non surrealiste, di Silvia Idili e di Paolo Pibi alle icone neo-pop di La Fille Bertha. Alla varietà delle formule espressive fa riscontro la tendenza a concepire la pittura come medium duttile, disponibile ad attraversare più generi. Al formato canonico della tela diversi artisti affiancano lo spazio miniaturizzato della pagina illustrata: negli acquerelli di Daniela Spoto, ad esempio, la pratica dell’illustrazione trasforma riflessioni sulla natura e sulla vita in delicata imagerie, mentre Kiki Skipi sceglie il registro ironico per il suo gioioso kamasutra tascabile. Altri cercano il respiro ampio della parete, una tendenza che la mostra documenta attraverso tre murali, affidati rispettivamente a Crisa (Federico Carta), La Fille Bertha e Eleonora di Marino. Il murale di Crisa sconfina dalle due dimensioni nella tridimensionalità dell’ambiente reale, utilizzando oltre al muro mucchi di detriti come supporto per la pittura. La Fille Bertha dispone tra le grandi vetrate uno dei suoi coloratissimi personaggi femminili, segnando come con un tatuaggio ironico e straniante la parete del museo. Di Marino usa il murale per riflettere su un tema, il rapporto tra uomo e natura, affrontato in mostra anche da altri artisti (ad esempio il duo Heart Studio, che opera tra arte e design), ma sviluppato stavolta in una prospettiva di critica sociale, per denunciare la degradazione ambientale del Sulcis Iglesiente.
Altri lavori hanno presentano una radice concettuale (tra tutti Citazione 2020 di Stefano Serusi, due virgolette realizzate in legno e dipinte di rosa e azzurro, un ironico gadget da indossare a mezzo di bretelle per formulare una “citazione” che comprende tutta la realtà), multimediale (il documentario di Vittoria Soddu sui canti dei pescatori irlandesi) o sonoro (l’installazione audio di Carlo Spiga che invade l’ambiente).
Nata nei giorni del lockdown da una riflessione sul ruolo del museo e sulla sua funzione nei confronti della comunità locale, “Back_Up” include una serie di opere che il museo Nivola ha acquisito per metterle in vendita a conclusione della mostra, devolvendo l’intero ricavato alle iniziative sociali dopo la pandemia. Un atto concreto di sostegno agli artisti e un gesto di responsabilità sociale che spiccano tra le molte dichiarazioni di principio e l’interminabile serie di testimonianze di istituzioni, artisti e curatori che hanno invaso la rete e i media nei mesi dell’emergenza sanitaria.