Mentre si visita la personale di Caroline Achaintre negli spazi della Fondazione Giuliani si ha la sensazione di attraversare un palcoscenico popolato da curiosi personaggi. È complesso descrivere la qualità della presenza che comunicano i lavori di Achaintre. Vi è in essi una particolare vitalità, una forza calamitante, che genera un rapporto di reciprocità con lo spettatore: quando li osserviamo, ci sentiamo a nostra volta scrutati da entità misteriose e inafferrabili.
La mostra riunisce un ampio corpus di opere – arazzi trapuntati a mano, acquerelli, ceramiche e sculture in vimini – che sono state realizzate dall’artista nell’arco degli ultimi otto anni e che forniscono uno spaccato esaustivo della sua pratica e del suo immaginario. Corrispondenze e contrasti formali mettono in relazione tra loro i singoli lavori, generando un campo di forze che attiva e rende dinamici gli ambienti: la consistenza morbida e calda e i colori intensi dei grandi arazzi dialogano con le superfici scivolose e lucide delle ceramiche, accordate su toni più tenui; mentre le visioni che affiorano negli acquerelli aprono a una dimensione sensibile più immaginifica e rarefatta. Achaintre esplora a fondo le possibilità espressive di ogni tecnica utilizzata, forzandone con delicatezza i limiti formali: alcune ceramiche si ripiegano vertiginosamente su loro stesse, come masse di materia instabile; altre sembrano sbalzate come superfici metalliche; la lana lascia sgocciolare fili di colore come fosse pittura fresca.
Il tema della maschera fa da filo conduttore all’intero percorso, e funziona come un grande bacino nel quale si riversano e si mescolano influenze e interessi variegati. Echi dell’Espressionismo e del Primitivismo tedesco e rimandi alla tradizione carnevalesca europea si sovrappongono alla fascinazione per i travestimenti tipici di alcune subculture contemporanee, come il fetish o l’heavy metal. L’artista attinge ad ambiti molto distanti tra loro, rivelando un temperamento estremamente libero, ricettivo e a tratti irriverente – perfettamente sintetizzato dal titolo della mostra, “Permanente”, che evoca i riccioli ribelli della capigliatura in voga negli anni Ottanta.
Secondo la nostra tradizione culturale, quando si indossa una maschera si sostituisce temporaneamente la propria individualità con quella di un altro personaggio, che esiste ed è incarnato all’interno della maschera stessa. Come evidenziato da Achaintre, ogni maschera si configura proprio per questo motivo come “una superficie di proiezione misteriosa, animata e inanimata allo stesso tempo”. Questa energia quasi magica pervade tutte le creazioni dell’artista, ed è ulteriormente potenziata dall’impossibilità di inquadrare con chiarezza le immagini da lei plasmate, trapuntate o dipinte, che sembrano colte nel momento in cui la forma inizia a manifestarsi, o forse sta già svanendo. In bilico tra astrazione e figurazione, tra l’emergere e il dissolversi, le apparizioni mascheriformi di Achaintre risultano inafferrabili e ci suggeriscono indizi che possiamo intuire ma non riusciamo a comprendere del tutto. La loro aura perturbante si insinua nella nostra immaginazione e continua a infestare i nostri pensieri mentre, avvicinandoci all’uscita, percorriamo l’ultima sala dello spazio, scandita dalle tre alte sculture in vimini. Questi grandi lavori, realizzati dall’artista in collaborazione con un gruppo di intrecciatori di cestini tradizionali, si stagliano come quinte teatrali e sembrano mediare il rientro del visitatore nel mondo esterno.
Quando ci si ritrova sulla strada, di nuovo circondati dalle voci dei passanti e dal rumore di qualche macchina che corre in lontananza, si ha l’impressione di essere tornati da una strana gita in una dimensione vicina ma altra. In fondo, come afferma Achaintre stessa, rispondendo a una domanda della curatrice della mostra Adrienne Drake, “spesso la bellezza dell’arte è anche quel viaggio personale, forse fantastico, in cui l’artista ci accompagna. Una sorta di evasione che è importante tanto quanto affrontare la realtà”.