Chiunque si trovi a passeggiare in queste settimane lungo via dei Genovesi, a Roma, non potrà non essere incuriosito dall’insolita composizione di biancheria intima visibile attraverso la porta vetrata della galleria trasteverina Ada Project. Slip e reggiseni in ceramica colorata sospesi a mezz’aria si affacciano sulla strada, e nella loro danza immobile sembrano ammiccare ai passanti, invitandoli ad avvicinarsi per sbirciare l’ambiente allestito dall’artista Urara Tsuchiya all’interno dello spazio espositivo. “Homebound” è la sua prima mostra personale in Italia e raccoglie un gruppo di nuovi lavori in ceramica realizzati a Faenza durante una residenza di produzione – inaspettatamente prolungata dal lockdown. Aneddoti e immagini legati a quest’esperienza di ritiro domestico forzato si sono depositati nell’immaginario di Tsuchiya, arricchendo di una specifica attualità la sua consueta indagine di quel territorio mutevole che chiamiamo intimità.
Le sculture, sparse armoniosamente sul pavimento a scacchiera, ripropongono in parte i gruppi inter-specie tipici della produzione dell’artista. Tre grandi ciotole, che accolgono al loro interno ghirlande di corpi umani e animali intrecciati in esplicite effusioni di natura sessuale, sono disposte intorno a un grande albero centrale, sui cui rami amputati si arrampicano figurine nude e teddy bear; mentre in un angolo della sala una valigia scoperchiata rivela un piccolo lettino sul quale un uomo e una scimmia se ne stanno avvinghiati. Il paesaggio articolato da questi teatrini è arricchito dall’inedita presenza di repliche di oggetti domestici e di uso privato: un secchio con uno straccio per pavimenti è collocato vicino alla porta di ingresso, e il visitatore è invitato ad addentrarsi fin dentro il bagno dell’ufficio della galleria, dove sono stati installati spazzolini colorati e detersivi posticci.
L’installazione di Tsuchiya forza i limiti ordinari dello spazio espositivo, facendolo sconfinare sia verso l’esterno – attraverso la vetrina nella strada – sia verso l’interno – nella toilette. In questa messa in scena, la sfera privata invade l’ambito della vita pubblica e viceversa, producendo un ambiente promiscuo non dissimile dalla condizione abitualmente esperita da molte persone durante i mesi di quarantena: basti pensare a tutte le volte che partecipando a una riunione di lavoro o una lezione online siamo entrati furtivamente nelle case degli altri spiandone i dettagli, a tutti i momenti in cui abbiamo lasciato che un occhio esterno si introducesse, attraverso la videocamera, nella nostra cucina o nella nostra camera da letto.
Le orgie di umani e animali dai colori pastello disseminate in questo dispositivo instabile sottolineano la posizione voyeuristica dello spettatore. Combinando una giocosità quasi infantile con un erotismo diretto e dal sapore a tratti sfrontato, queste eccentriche visioni disorientano il nostro sguardo, inducendoci a ispezionare le opere una seconda volta per accertarci di quello che stiamo effettivamente vedendo, in una tensione oscillante tra attrazione e repulsione. Tsuchiya, con toni divertenti e divertiti, stuzzica il perbenismo della morale comune, giocando con un’arte di antica e raffinata tradizione come la ceramica (legata sia al suo paese di nascita, il Giappone, sia al luogo in cui oggi vive, il Regno Unito), sullo sfondo di una società in cui la sessualità resta ancora ampiamente un universo da risemantizzare e reimmaginare al di là dei dettami etero-patriarcali e delle logiche di mercificazione capitalista.