La lunga notte oscura della toile: la co-ed gotica SS21 di Margiela di

di 26 Novembre 2020

Tempi incerti. Tempi strani e difficili. In questi giorni non si riceve una email senza che contenga una qualche variazione di questa frase, sembra qualcosa a metà fra un incantesimo e una dimostrazione di sicurezza a bordo – un rituale catastrofico che conosciamo a memoria ed eseguiamo indipendentemente se ne usciremo superstiti o meno. Eppure, su un sedile imbullonato, chi riesce a voltarsi? E poi, chi sta guidando questo aereo? Reggiti forte.

John Galliano, il direttore creativo di Margiela, a proposito della presentazione della collezione mista SS21, ha dichiarato a Vogue: “Tutto il team ha fatto i tamponi prima di arrivare qui, abbiamo un team di medici 24 ore su 24, tutto viene sanificato, ci sono le mascherine, il distanziamento, tutto secondo le regole”. Molte altre case di moda sono state egualmente attente a sottolineare il senso di distanza in questa stagione, ad esempio le modelle di Stella McCartney che hanno trottato attorno all’enorme Full Moon Circle (2003) di Richard Long nei Norfolk Gardens di Houghton Hall, mentre quelle di Prada hanno zigzagato individualmente in una foresta di schermi sospesi. Eludendo le pubbliche relazioni circostanti si trovano altri esempi simili di tesa e reverenziale diligenza.

In un momento in cui il livello d’ansia è alto e la vicinanza e/o le situazioni fluide sono penalizzate, Galliano è stato assennato nell’offrirci questa dichiarazione. Fondamentalmente lo stilista era solo nell’istruire al tango corpi bellissimi e farli sguazzare nei caldi toni melmosi del sangue e chiffon dall’aspetto linfatico sul fondo di una piscina in Toscana. Tuttavia c’era un effetto piacevolmente strano, quasi febbrile. Gli approfondimenti sul processo e il risultato finale possiamo trovarli nel cortometraggio docu-fantasy intitolato S.W.A.L.K II, diretto da Nick Knight. Mentre la collezione non offre un commento diretto sulla stranezza di quest’annata di per sé – come Nicole Phelps ha recentemente fatto notare in Vogue, “interattività e intimità erano due dei punti chiave” di questa stagione – Margiela è nota per essere l’unica candidata nel materializzare in modo più intenso e macabro tematiche basilari, come passione, tragedia, paura e sicurezza. Per quanto consapevolmente intenzionale, una direzione scherzosamente spettrale è tempestiva. Nessuno può negare che la forma del 2020 sia stata determinata da paura e trasformazione, e se qualcuno dovesse optare per un genere la decisione sarebbe ovvia. L’intensa paura collettiva del contagio, della morte, delle devastazioni causate dalla malattia, dei limiti stessi e delle capacità trasformative del corpo umano, sono tutti tropi classici dell’orrore corporeo.

Zone carnali
Un aspetto della proposta ideoplastica di Margiela è il decostruttivismo della firma del brand (“la moda distrugge”), con larga parte della SS21 tagliata come l’illustrazione tecnica di un corpo in esplosione, per sottolineare quello che Galliano opportunamente chiama un “approccio paramedico alla creatività”. I bianchi cappotti clinici da laboratorio tradizionalmente indossati dagli impiegati dell’atelier Margiela non si discostano poi così tanto dall’atmosfera di un ospedale infestato in perfetto stile cronenberghiano.

Lo scorso giugno, Artforum ha pubblicato uno scottante pezzo di Paul B. Preciado che afferma (servendosi di  Foucault) che non ci sono politiche che non siano politiche del corpo, e che “la nuova frontiera necropolitica è cambiata […] L’aria che respiri dev’essere solo tua. La nuova frontiera è la tua epidermide”. Preciado sostiene che ciò che viene testato oggi su scala globale è un nuovo modo di concepire la sovranità, che il corpo è l’attuale frontiera di una violenta politica di confine. Nonostante suoni drammatico dirlo, “adesso stiamo vivendo in centri di detenzione nelle nostre stesse case”, l’intervento statale nei modi in cui interagiamo gli uni con gli altri e nel nostro accesso a certe forme di movimento (nuoto, danza, sesso, viaggio e altri sport umani) ha subito cambiamenti drastici. Nessuna di queste forme si può dire sia stata trattata con precisione chirurgica di per sé, ma per molti, le sfere del lavoro e dello svago sono state letteralmente dislocate o cancellate del tutto. Paragonato al prima, stiamo vivendo un’incorporeità indefinita su scala radicalmente globale.

Questa nuova strana esistenza non sarebbe possibile senza che i dispositivi di comunicazione diventino ancora più centrali per le operazioni di vita condivisa, come testimoniato in S.W.A.L.K. II dalla videoconferenza online che analizza la collezione. Metamorfosi tecnologiche, un luogo comune del body-horror. Lo schermo è realtà e la realtà è meno di uno schermo, dice più o meno così Brian O’Blivion in Videodrome. Il profetico Mark Fisher ha scritto esaustivamente riguardo la “logica del contagio – di contatto e infezione” della tecnologia, definendo l’infezione tecnologica e la trasmissione di Videodrome “una vera tecnologia gotica”. Mi domando, cosa avrebbe detto su quest’anno?

“La prospettiva classica sulla tecnologia è una storia a proposito del corpo. Infatti, le due sono indivisibili”, scrisse Fisher. Oggi possiamo leggere su Twitter che “gli uomini morivano in guerra. Adesso sono bannati da Grailed”. Insomma, i live di zoom sono la nuova carne.

Eppure Fisher ci ricorda anche che il gotico ha il potere di analizzare l’identità come una questione ingegneristica oltre l’intervento tecnologico del corpo, la cui “incarnazione non copre la soggettività; tutt’altro”; ed è questa trasformazione di identità, di ideologia, della mente che il più delle volte è la paura che sta alla radice dei racconti horror (a tema pandemico o altro). I tagli inflitti sulla carne mutilano e mutano anche la sfera mentale.

Occhi senza volti, danze senza piedi
Le mascherine facciali saranno molto probabilmente l’elemento visivo più distinguibile di questo momento storico. Per una straordinaria coincidenza, Margiela potrebbe essere l’unica maison a cui l’aggiunta delle mascherine non darà l’impressione di un’anomalia inspiegabile negli anni a venire. I veli di garza che avvolgono la testa sono un tropo amato – la cui prima iterazione presentata per la SS89 nel 1988, anno inaugurale del brand, era sempre rossa, – anche se questa potrebbe essere la prima volta in cui potremmo definirli realmente utili.

La saggista regina dell’urlo Marina Warner scrive:  “vale la pena ricordare che la parola larva, usata in inglese per indicare lo stadio iniziale di un bruco, che in latino significava ‘fantasma’ o ‘spettro’, è usata anche da Horace per denotare una maschera, in grado di spaventare l’osservatore, mentre il verbo larvo significa ‘stregare’ o ‘incantare’ […] Le maschere sono infatti larvali: promettono la comparsa di forme, ma non le danno alla luce”.

La macabra palette kitsch di rossi, neri, bianchi e neutri della collezione mista è ulteriormente enfatizzata con un trucco da spettacoli horror contrapposto a lune piene, alberi incombenti, freddi muri di pietra e cancellate in ferro battuto di cimiteri e tenute irregolari, avvolgendoci in un’autentica dimora infestata da tropi spettrali.

Tutto sembra essere in funzione di un viaggio ricordato a metà dentro un club di tango pieno di gatti randagi in un edificio argentino fatiscente “bianco, argento, questo chiaro di luna che scende”, con un uomo che, danzando, racconta una storia “attraverso le rughe sul suo viso, le grinze dei vestiti”.

“Puoi percepire la vita che ha vissuto questa persona”, dice nostalgicamente Galliano. Le sue fantasticherie si dissolvono nelle parole di Kier-La Janisse, scrittore cinematografico nonché esperto di horror, dalla prospettiva (si presume) della figura illuminata dalla luna di Galliano, mentre egli stesso ricorda la visita di due strambi cugini orfani, e “cose selvagge” viziose e crudeli che costringono il nostro narratore a un’appassionata guerra danzante per molti giorni. La storia di Janisse (e i collant rosso sangue della collezione) richiamano alla mente un’altra favola, Le Scarpette Rosse di Hans Christian Andersen, in cui alla giovane vivace protagonista viene intimato “danzerai con le tue scarpette rosse fino a quando non sarai pallida e fredda; finché la tua pelle non si raggrinzirà come quella di uno scheletro!” Incapace di sopportarlo lei si amputò i piedi, smaterializzandosi.

L’indossare mascherine, la sanificazione di mani e oggetti e questa goffa ritualizzata distanza, sono stati percepiti talvolta come movimenti di una danza stranamente oscura e ineluttabile; nei momenti di tranquillità mi sono chiesta se il virus non supporti un simile elemento di punizione palliativa per una specie mostruosamente vorace fatta di piccoli protagonisti agguerriti. L’eroina di Andersen alla fine, dai suoi desideri auto-distruttivi, approda a una sorta di redenzione. C’è qualcosa per noi?

Il gotico e il soprannaturale affiorano quando servono a esplorare, esagerare, a far esplodere gli orrori quotidiani e tutte le condizioni incerte che ne derivano. A dare uno sfogo alle nostre paure e lasciarle libere prima che ci trascinino nella polvere. Come tutte le misure di sicurezza, sono entrambe parte e antidoto dell’incertezza.

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Ella Plevin