Queste sono le gemelle Venturini. Potenza e imprevedibilità, colore e intuizione, lampo e tuono, pelle e idee, arte e parrucche, citofoni e immagini. In un pot-pourri perfetto, imprevisto e nuovo. E un mito che rinasce con loro. Cinque lettere che sanno di ancestrale, di memorie profonde e carnali, di miti nel Mediterraneo precristiano, di cantate in greco antico: Medea. Medea e quello sguardo da Maria Callas a Pasolini (mancato quarantacinque anni fa). E così la loro Medea è un meta-progetto, una community internazionale, una base di dibattito, un fenomeno borsa, certo, ma che è già piattaforma.
Gea Politi: Camilla, tu arrivi da dieci anni newyorchesi dove hai collaborato con l’artista e fotografo Ari Marcopoulos, mentre tu Giulia eri dietro alla produzione delle campagne di Toilet Paper con Pierpaolo Ferrari e Maurizio Cattelan. Il vostro è un percorso creativo aperto. Avete un obiettivo preciso ora con Medea?
Giulia Venturini: Abbiamo passato dieci anni separate, poiché Camilla era a New York, invece io abitavo fra Milano e Parigi. Le nostre esperienze sono state comunque simili, quasi parallele, pur muovendoci in contesti cittadini diversi. Ma le nostre finalità hanno comunque sempre avuto degli obiettivi in comune.
Camilla Venturini: Le circostanze che hanno caratterizzato la nostra vita di giovani donne, ci hanno fatto tornare in Italia. Ritrovandoci vicine empaticamente e fisicamente, di comune accordo abbiamo deciso di unire le nostre forze e lavorare per noi stesse. Anche i nostri amici ci hanno spinto nel nostro percorso, e a realizzare i nostri progetti. La nostra visione dell’arte contemporanea, sia nella scena europea che in quella newyorchese hanno ampliato le nostre prospettive, consentendoci di creare Medea. Abbiamo un’idea molto precisa del nostro progetto, che si fonda nel tentativo di costruire una community internazionale intorno al nostro brand. Per gli small brand è molto difficile attualmente avere un mercato in Italia. Il nostro progetto quindi deve avere quel quid in più che lo renda speciale. L’accessorio è un elemento della nostra vita quotidiana, che ci rappresenta e ci valorizza. Noi puntiamo a rendere chi indossa il nostro brand esplosivo, eclettico e internazionale.
GP: Avete utilizzato il termine ‘community’. Cosa implica nella creazione di un progetto agli inizi come il vostro?
CV; GV: Abbiamo raggiunto notorietà proprio grazie al supporto della community che ci siamo costruite negli anni. Siamo due persone molto estroverse che hanno amici in diverse latitudini. I nostri interessi sono molteplici, spaziano dall’arte alla musica, alla moda. Ci siamo avvicinate a dei personaggi che hanno trovato il nostro progetto originale e quindi hanno deciso di supportarci creando insieme delle collaborazioni. Queste ultime a loro volta hanno allargato il nostro bacino di contatti dandoci la possibilità di esplorare, osare e proseguire su canali sempre più ampi e diversificati.
GP: Quali sono gli aggettivi che usereste per definire il progetto Medea?
GV: È un progetto sicuramente trasversale e fuori dagli schemi. Recentemente sulle stories di Instagram abbiamo utilizzato l’opzione ‘ask me something’. Sorprendentemente le persone ci hanno posto delle domande che non riguardavano il brand Medea, ma noi come persone. Erano soprattutto curiose di capire chi fosse dietro al brand e quali fossero i nostri interessi. Il pubblico voleva arrivare a una dimensione più umana, forse più raggiungibile.
CV: Molti ci chiedevano con chi avessimo intenzione di collaborare in futuro.
GP: Quale messaggio vuole dare Medea? O meglio, voi avete fondato un brand nel 2018. Con quale ‘missione’ eravate partite e con quale state procedendo ora? C’è stato un cambio, specialmente ora durante il Coronacene?
GV; CV: Il nostro messaggio non è cambiato. Le nostre idee si sono ovviamente evolute negli anni. Siamo partite col creare borse e adesso vorremmo realizzare molti altri prodotti, anche se la bag ha ancora molte declinazioni da studiare. Ci siamo rese conto che durante la prima ondata di pandemia non era molto ‘sensibile’ spingere sulle vendite, e insieme a degli amici abbiamo lanciato delle playlist da ascoltare in momenti di isolamento, per avvicinarci e poter comunicare alla nostra community.
GP: La prima collezione limitata di Medea era in collaborazione con Nan Goldin, segue Judith Bernstein e ora una campagna con Roe Ethridge. Da dove arriva l’arte contemporanea? O pensate che ormai (finalmente?) l’arte si sia ‘installata’ nel percorso di un creativo, qualunque sia la sua natura?
GV: Lavorare con Roe Ethridge è stato incredibile. Inizialmente volevamo scattare la campagna a Sankt Moritz in Svizzera. È un posto davvero magico con delle location da cartolina. Purtroppo non siamo riuscite a spostarci da New York e quindi abbiamo dovuto ideare e attuare la campagna pubblicitaria dalla città. Fortunatamente, siamo molto felici del risultato soprattutto per il casting. Ci siamo affidate a un’agenzia di casting per film. Non riusciamo a legarci troppo al mondo della moda, ai modelli. Preferiamo utilizzare persone vere, non costruite, che trasmettano qualcosa di unico. Inoltre, ci siamo avvalse di una costumista cinematografica che ha creato i look per la campagna.
CV: Riguardo la domanda sull’arte contemporanea, penso sia un trend del momento. Il mondo della moda segue le tendenze, quasi imitandosi l’un con l’altro.
GP: Diversi rapper e musicisti stanno collaborando con il mondo dell’arte. Molti sono collezionisti, altri hanno ormai una conoscenza ampia del sistema e sono riusciti a instaurare un dialogo costante con l’arte contemporanea. Sul lato musicale è una collaborazione presente, quasi ispirata all’arte. Nei nuovi brand del momento notate questo collegamento, oppure pensate che sia solo un trend?
CV: Nel mondo della moda ci sono il designer e il fotografo che creano la campagna. Nella musica c’è più libertà, devi affidarti a un artista per creare il lato visuale. I musicisti hanno un modo di pensare molto più aperto. Riescono quindi a spaziare creando nuovi concetti originali.
GP: Se poteste scegliere un artista non più in vita e quindi irraggiungibile, chi scegliereste?
CV: Mike Kelley.
GV: Carol Rama.
GP: Avete qualcuno che vi aiuta nelle vostre produzioni?
GV: Siamo solo io e Camilla che creiamo il prodotto, ma abbiamo un team interno in questa azienda di Verona che segue gli sviluppi. Siamo molto supportate, e interagiamo con l’azienda stessa per ogni particolare che riguarda la manifattura.
CV: Nel mondo di Medea, si è formata una community, quasi una famiglia allargata, che ci supporta e ci consiglia sempre nella scelta della musica, dell’arte e del design. Inoltre, accettiamo spesso di lavorare con persone differenti, così da avere sempre un ciclo di idee e progetti diversi.
GP: La Medea di Pasolini interpretata da Maria Callas è un’immagine iconica. Uno degli immaginari più potenti del secolo scorso. Qual è stata l’influenza della figura della Medea classica? Quale è il suo significato per voi?
GV: Noi siamo state molto influenzate dalla Medea interpretata da Maria Callas, invece che dalla figura mitologica in sé.CV: Quando noi pensiamo a Medea pensiamo a Maria Callas, che consideriamo la prima vera diva. Pasolini come personaggio è stato un grande mito per noi. La parola ‘Medea’ è molto forte e al contempo visiva. Siamo particolarmente legate a questo mito, perché, inoltre, ironicamente ci ricorda l’indirizzo email di nostro fratello da giovane, che includeva la parola Medea.
GP: Quali sono state le figure del recente contemporaneo che vi hanno influenzato?
CV: Nan Goldin è stata la prima persona che abbiamo messo sulla nostra lista di artisti con cui volevamo collaborare. Anche Yoko Ono per noi è una grande artista che ci ha influenzato.
GV: La nostra community e i nostri amici continuano poi a ispirarci. Come accennato prima, abbiamo anche creato una playlist che si intitola ‘Medea Music Series’, curata da musicisti dotati di grande sensibilità e gusto. In passato abbiamo composto playlist con artisti come Eliza Douglas e Maurizio Cattelan; personaggi della moda come Virgil Abloh; musicisti come i Daft Punk, i Vampire Weekend; designer come Francesco Risso e Kiko Kostadinov. È un progetto divertente e quasi casuale visto che non c’è mai una lista programmata di chi farà la playlist. Per esempio, abbiamo chiesto alla nonna di una nostra cara amica, che ha 97 anni, di creare una selezioni di canzoni per il nostro progetto. Spesso si inizia dalla creazione della playlist per arrivare poi a collaborare nell’ideazione delle borse.
GP: Con chi collaborate in termini creativi?
GV: Collaboriamo con persone fantastiche, sempre disponibili! Vogliamo sempre lavorare con figure diverse che danno un senso di varietà ai progetti.
CV: Abbiamo interagito con Blood Orange, un musicista con il quale spesso ci confrontiamo. Anche lui ha ideato una playlist per noi, abbiamo collaborato per creare un concerto a Parigi, ha fatto la colonna sonora per la campagna pubblicitaria. Ha, in un certo senso, contribuito a creare parte dell’estetica di Medea.
GP: Siete delle ‘dinamitarde’. La dinamite la scagliate per un innato senso liberatorio o per paura di morire in silenzio?
CV; GV: Entrambe. Per noi è impensabile lanciare un prodotto o un progetto che sia piatto o basico. Magari a livello commerciale avere un prodotto statico (esteticamente parlando), può funzionare. Ma noi vogliamo comunicare un qualcosa che sia come dinamite, esplosivo! Tutto, ma non morire in silenzio. Quando decidiamo di pianificare un prodotto o una campagna pubblicitaria vogliamo stravolgere e alimentare pensieri controversi nelle persone. Quando poi è una persona giovane ad approcciarsi a noi, complimentandosi per il nostro lavoro, sentiamo di aver raggiunto l’obiettivo.