Kathy Acker: la scrittura come masturbazione di

di 25 Febbraio 2021

“Tell me stories!” è una rubrica sulla scrittura, a cura di Manuela Pacella. Uno spazio in cui testi di e su diversi autori indagano la scrittura d’arte, sperimentale, interdisciplinare, creativa e non.

Userò questo articolo per fare due cose*: (uno) raccontarti chi è Kathy Acker e come scrive – e sarà impossibile farlo senza essere me stessa, perché Kathy Acker non ha mai scritto niente che prescindesse dalla sua essenza. Più scrivo romanzi miei, più mi convinco che scrivere equivale a leggere. (due) Provare ad emulare quello che fa e come lo fa, a volte provare a tradurla. Quello che non farò è celebrarla o promuoverla. Ti parlerò di Kathy Acker come se ti scrivessi una lettera.

Sul braccio destro, dietro il bicipite, ho un tatuaggio con un pugnale che infligge una rosa che lacrima, sotto c’è un’iscrizione su un drappo che recita «disciplina e anarchia». Il disegno è tratto da Empire of the Senseless (Grove Press, 1988), un libro che Acker ha dedicato al suo tatuatore nel 1988. Non l’ho ancora letto, quindi è inutile che te ne parli. Però posso raccontarti perché ho questo tatuaggio e perché Acker sia – quasi casualmente – diventata per me qualcosa da tatuarsi addosso. Nel 2016 avevo i capelli rasati e Susan Gibb mi ha detto che le ricordavo Kathy Acker. Non sapevo ancora chi fosse. Nel frattempo avevo buttato un pezzo di vita nel cesso ed ero ossessionata da un tipo che viveva dall’altra parte del mondo.

Il primo libro di Acker che ho comprato– tutt’ora uno dei miei preferiti – è in realtà una corrispondenza tra lei e McKenzie Wark avvenuta tra il 1995 e il 1996 (qualche tempo prima che il cancro la ammazzasse) via mail, tra SF (San Francisco) e Sydney. I due si erano conosciuti in Australia e avevano passato qualche giorno insieme e, quando si sono separati, si sono detti che valeva la pena continuare a sentirsi.1 Lei gli scrive due, tre mail di fila quando torna a casa la sera sbronza, sproloquia di qualunque cosa tra tv, letteratura, filosofia, Blanchot, Stati Uniti e politica. Si racconta. Lui risponde quando può e a detta di lei non è sempre troppo coinvolto – lei lo rimprovera pure. Il libro s’intitola I’m very into You [Semiotext(e), 2015] – mi piaci molto. Semplice. La mia frase preferita è l’ultima del libro, che lei gli scrive il 12 febbraio del 1996: ogni volta che sogni che ti scopo, questo è ciò che accade. Quante volte ho riciclato questa frase non so – in inglese suona anche meglio. Questa e altre coincidenze, come i riferimenti a Bataille e Blanchot, discorsi vari a tema attivo-passivo, la scrittura riconciliatoria a notte fonda, o completamente allucinata e sciolta dopo una sbronza, mi hanno fatto pensare che quel libro parlasse di me. Che l’avessi scritto io, o che ne stessi scrivendo un altro uguale. Fino a quando, leggendola di più, ho capito che tutta Acker è così viscerale da risultare quasi elementare. Non direi la stessa cosa di nessun’altra, quindi consideralo un complimento. Più che per plauso, per necessità. Non ho mai avuto quelle fisse da adolescente per i personaggi famosi. Con Acker devo ammettere che un qualche tipo di ossessione c’è. Il tatuaggio (oltre che per il contenuto dell’iscrizione) forse l’ho fatto anche per quello.

Il libro biografico di Chris Kraus After Kathy Acker (Allen Lane, 2017) parte dal giorno in cui, il 23 gennaio 1998, gli amici di Acker si sono incontrati per disperdere le sue ceneri. Dopo averlo letto mi pare quasi impossibile parlare di Acker senza Kraus. Da quello che so le due si conoscevano a malapena; entrambe hanno avuto una relazione più o meno longeva con (Sylvère) Lotringer. Non so chi invidiare dei tre. Forse, in realtà, invidio la scena, il periodo, e la nonchalance, anche se non sono nemmeno mai stata nelle Americhe, e ho sempre l’impressione che una scena valga l’altra. Kraus lo dice che Acker avrà conosciuto migliaia di persone nella sua vita, con molte delle quali è stata anche a letto. Devo ammettere che per godersi meglio la letteratura è meglio saperne qualcosa della sua vita. Come quando ci si masturba pensando a una persona in particolare; se la si conosce si gode di più. Anche perché la vita di Kathy Acker è stata imprescindibile dalla letteratura, e viceversa. “Ma comunque, non è che abbia fatto molto di più di quello che ogni scrittore dovrebbe fare? Crearsi una posizione da cui poter scrivere?”2 e quindi ora io non so da dove cominciare, non so se procedere per aneddoti sulla vita o se andare dritta al succo del linguaggio. Se ti dovessi dire di cosa sa, forse di pompelmo. Forse di sangue. A volte di pelle. Mai di lacrime. Quelle secondo me le ha sempre trattenute. Qualunque cosa io possa raccontarti in queste poche righe, non riporta fedelmente tutte le sfumature intercettate da Kraus. Leggitelo. Anche perché ecco, Acker è un tramite (come lo siamo tutte d’altronde), un varco, un contatto di un mondo. Attraverso Acker si arriva a tanti mondi diversi.

Acker muore nel 1996, in un centro di medicina alternativa a Tijuana, dove si era ricoverata nonostante lo stadio del cancro partito dal seno fosse troppo avanzato. Qualche tempo prima si era già sottoposta a mastectomia, ma si era rifiutata di fare la chemio perché costava troppo ed era veleno. Quando ha deciso di curarsi il cancro con lo yoga, la meditazione, l’erboristeria, l’esoterismo e l’astrologia ha litigato con molti dei suoi amici, gli stessi che poi l’hanno comunque raggiunta a Tijuana, prima dell’ora fatale. Lotringer le ha portato dei quaderni per scrivere, ma lei era troppo debole per farlo e gli ha chiesto – pensi che faranno un film su di me? Perché Kathy Acker si merita un film? Io non ci riesco e non voglio raccontarti la sua vita così, banalizzandola, ma Acker è stata prima di tutto una scrittrice, ma anche artista, spogliarellista, body builder, motociclista, insegnante e icona punk. Marta mi ha chiesto perché fosse anche un’icona queer. Io non le ho saputo dare una risposta precisa, a parte il fatto che negli ultimi anni della sua vita, a Londra e a San Francisco, frequentasse soprattutto la scena lesbo butch, ma leggendola e leggendo della sua vita, direi che la queerness è intrinseca, strutturale e multisfaccettata e, a volerlo dire alla Lonzi, l’opera d’arte è la vita.

Kathy Acker, A Map of my Dreams. Courtesy Granary Books.

E la sua letteratura è fatta di vita, e di altra letteratura rubata, che altro non è che altra vita. Stilisticamente Acker viene tendenzialmente accostata a Burroughs, per i vari prestiti, plagi e montaggi. Non è stata mai osannata dalla critica letteraria statunitense, mentre a Londra è risultata talmente esotica da diventare mitologica. In entrambi i casi era famosa sia nell’ambiente dell’arte sia in quello della poesia. Il romanzo Pussy, King of the Pirates è diventato un disco, con lei che legge ad alta voce sulle basi dei Mekons. Insieme sono andati anche in tour. Peter Gordon è stato uno dei suoi partner più longevi. Un suo trafiletto compare sul numero 14 della rivista d’arte Art-Rite, vicino a Ulises Carrion e John Baldessari. Lui e Bernadette Mayer smettono di parlare con Alan Sondheim dopo aver visto The Blue Tape, un film amatoriale in cui dopo mezz’ora di digressioni esistenziali sulla loro relazione, Acker gli fa una sega con tanto di dita nel culo. A detta di Kraus, Sondheim fa ancora fatica a parlarne. Comunque tutta la sua vita dal 1971 in poi è disseminata di personaggi (ormai tra la storia dell’arte e la storia della letteratura) e di aneddoti più o meno eccentrici. Si alternano corrispondenze assidue con uno o più interlocutori (soprattutto maschili) – tra cui Wark e Sondheim – essenziali per la ricostruzione biografica di Kraus.

Kathy Acker and The Mekons’s Pussy, King of the Pirates. Courtesy Quarterstick Records.

Scordatevi tutte le cazzate su artisti e libri. Scrivo tre quattro pagine al giorno, e lo faccio da dieci anni. Se voglio lavarmi la faccia prendo acqua e sapone e mi strofino il viso. Il resto è tecnica. (…) Nota: quasi tutti i miei amici sono artisti e vivo in una comunità di artisti. Quando sto in camera mia a scrivere, non sono separata dai miei amici né tantomeno scrivo «libri d’artista». Mi chiedo che cos’altro intendiate con «d’artista». Spero di non essere brusca: non è mia intenzione. Ho 29 anni e ne ho spesi gran parte a leggere, scrivere e pensare con il corpo e con la mente a scrivere. Non posso comprimere dieci anni o più in una frase. Questo mondo di merda della piccola e grande editoria, la cui filosofia, a causa dell’assorbimento nella vita attiva, è stata persuasa a giudicare e punire.

Come biasimarla. A volerla parafrasare ti direi, il piacere dov’è? Detto da una poi che, come Balzac, rivendicava di scrivere masturbandosi. E anche fosse, parliamoci chiaro, che cos’è la scrittura febbrile se non un sano orgasmo prolungato? Lo facciamo perché ne sentiamo il bisogno, è manutenzione. La condivisione è tutto un altro discorso. Ognuna ha il suo modo di concedersi. Quindi ti voglio parlare della scrittura di Acker affondando sul suo libro Great Expectations (Penguin Classics, 2018) – grandi aspettative – che ho appena finito di leggere. A dirti la verità, non credo che quando scriviamo pensiamo alle nostre aspettative, anzi, io penso più al desiderio carnale. Nel suo caso però c’è anche tanta ambizione, ostinazione e disciplina. Sono una persona di grandi aspettative. Io non posso fare altro che inoltrarmi in queste aspettative con lo stomaco, visto che lei ha sempre scritto dal basso ventre – ci si soffocava quasi con la scrittura. Ora, ti racconto quello che c’ho visto dentro. Il romanzo è un diario, una vendetta, una ricostruzione storica di un momento preciso, un pastiche filosofico, una cura dal trauma, un tentativo di riconciliazione.

Kathy Acker, Great Expectations (Penguin Classics, 2018).

Tra science fiction, critica sociologica, nomi veri e inventati, diario e plagio, di cui, in questo caso specifico, il riferimento principale è Eden, Eden, Eden di Pierre Guyotat, un po’ tradotto dal francese da lei stessa, un po’ riscritto. Il tono di Acker però è a tratti riconciliatorio, a tratti violento, pieno di dialoghi, a volte troppo familiari per non credere che siano veri.3 Penso che la tua nuova fidanzata puzzi. Sia la masturbazione che la vendetta sono un escamotage letterario e allo stesso tempo emancipatorio, in cui le citazioni raccontano di tutte le persone che ha amato come dei personaggi che emergono da uno sfondo. Con la scrittura coltiva il desiderio e avanza richieste. Pretende. Racconta questa vita «d’artista» da dentro. Si duole e si lamenta. Il linguaggio non vuol dire comunque più niente. Il linguaggio muore e si porta dietro l’autore. Io sono quello che succede dopo la morte, la scrittura. E che cos’è un orgasmo se non un contatto ravvicinato con la morte? L’unico che si ripete. Ma queste grandi aspettative, hanno sempre delle implicazioni. DA DOVE VENGONO LE EMOZIONI, SONO NECESSARIE, CHE COSA CI DICONO LE EMOZIONI DELLA COSCIENZA? A leggerlo, sembra quasi di guardarsi un film d’avanguardia, o, a volte, di stare in teatro. La vedi che urla, che batte su quella tastiera, che scrive, che scrive, che scrive. È palesemente performativa. Se l’orgasmo è una morte che si ripete, l’amore è il magnetismo che ti ci spinge contro. Lei continua a fare nomi (di chi?) e a chiudere i capitoli con i :

Estratto da Kathy Acker, Hannibal Lecter, My Father, con annotazioni di Reba Maybury.

Parla di scrivere. La coscienza è semplicemente: non tempo. Ma ogni emozione presuppone una differenziazione. La differenziazione presuppone un tempo, almeno un PRIMA e un ADESSO. La narrativa è un movimento emotivo. Nel frattempo si cambia la vita, ma senza andarsene troppo lontano; la finzione non offusca mai il reale. Parla di mitologia dell’arte, dell’artista, di storia dell’arte, della scena e della disperazione sociale in chiave marxista. Chissà com’era New York negli anni Settanta, se è ancora così. Non so, non ci sono mai stata. Psicologia e filosofia si intrecciano con poesia e fenomenologia. Come si possono trovare delle ripetizioni in un mondo senza memoria? Con un diario immaginario che si riscrive da sé, che ci racconta ogni giorno da capo che sopravviviamo solo se sopravvivono anche le altre, solo se sopravvivono tutte attorno a noi. La repressione causa dolore. Non ho nessuno in questo mondo. Ogni evento è completamente separato da un altro. Se ci sono un numero infinito di eventi non collegati, dov’è la relazione che abilita il dolore? Lei scrive, parla non si sa a chi, né a nome di chi. Non so se sappia dove rivolgere i suoi sogni. Chiede. Come sappiamo come comportarci? Come sappiamo se le nostre azioni causeranno del dolore? Come facciamo a scegliere? Sapevo che non avrei dovuto scegliere ma sarei dovuta scappare. Ogni tanto è prescrittiva. Prova a essere Sade. Descrive, in maniera peculiare, una certa mascolinità tossica, che conosciamo tutte tanto bene. Con le citazioni e i plagi, mi ricorda che troviamo il coraggio nel praticare poesia, solo grazie a coloro che il coraggio ce lo hanno avuto prima di noi. Per chi scriviamo? A nome di chi parliamo? Che voci decidiamo di amplificare? La mia pagina preferita4 te la traduco tutta:

44 a.C. Bruto e Cassio assassinano Giulio Cesare.

42 a.C. I fuorilegge Bruto e Cassio perdono la battaglia di Filippi contro Marco Antonio.

Marco Antonio si allea con Cleopatra e abbandona sua moglie Ottavia (la sorella del nipote di Cesare).

Il gran patrono letterario Messala parte con il giovane Cesare che tradisce Antonio.

31 a.C. Cesare sconfigge definitivamente Antonio nella battaglia di Azio.

29 a.C. Inizia l’impero. Il potere viene consapevolmente centralizzato. Ogni azione non
politica, come la poesia, contraddice ogni tipo di centralizzazione. Ovidio viene
mandato in esilio. A Properzio e Orazio viene ordinato di scrivere le odi
all’impero.

Ed è proprio con la voce di Properzio che Acker dice: La mia scrittura ti curerà da ogni male. Dammi cinque dollari, non costo molto dammi anche meno, ti dirò come conquistare l’amore di qualcuno che non ti ama. Non sono forse queste le aspettative di tutte? Tutte, tutto, dappertutto.

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Giulia Crispiani