Un grido d’allarme può prendere molte forme. Alcune evidenti, altre più silenziose. Come il crepitio costante delle assi di legno che, nella scena filmata da Valentina Furian in 55 (2019),e ardono nel buio della notte, accompagnate dai guaiti e i latrati sporadici di un cane confuso, in cerca di una spiegazione senza risposta.
La casa è in fiamme. Questo il messaggio che apre la riflessione curatoriale sul ruolo delle immagini in movimento al tempo della crisi, il nostro tempo, segnato dal necessario confronto con le numerose rivoluzioni sociali, tecnologiche ed ecologiche che stiamo attraversando.
L’incendio notturno di Furian non ha fine, è intrappolato nella ripetizione costante della proiezione, simbolo del nostro perenne stato di emergenza. Ma quand’è che tali fiamme hanno iniziato a bruciare? Quando è iniziato l’allarme? “Quale casa sta bruciando? Il paese dove vivi o l’Europa o il mondo intero?”, si è chiesto recentemente Giorgio Agamben. “Forse le case, le città sono già bruciate, non sappiamo da quanto tempo, in unico immenso rogo, che abbiamo finto di non vedere”1.
Nelle premesse della mostra, lo sviluppo pandemico non è infatti l’unica emergenza con cui monopolizzare la nostra attenzione, ma è presentato come ultimo capitolo sintomatico di una crisi sistemica e universale. Questa apertura permette di ospitare una molteplicità di argomenti e linguaggi, mostrando come il medium filmico sia prima di tutto lo strumento con cui gli artisti osservano e ripensano i nostri legami con l’Altro, l’altro-da-noi, sia esso il mondo animale, il pianeta in fiamme, o la mano di un estraneo.
Nelle immagini fredde e bluastre di In Landscape Mode (2018) di Marcin Liminowicz, una crociera sul Mar Baltico diventa metafora e avvertimento mediante l’uso di due punti di vista simultanei: da un lato, il mare ghiacciato, spezzato dal lento movimento della nave rompighiaccio; dall’altro i turisti, troppo intenti a fotografarsi per accorgersi delle conseguenze del proprio passaggio.
Le mani in bianco e nero protagoniste del film di Claudia Claremi, La Memoria de las Frutas (2016), raccontano invece una storia diversa: sulla superficie graffiata di una vecchia pellicola 16mm, il loro movimenti ricreano le forme invisibili dei frutti di Porto Rico ormai dimenticati nella domanda del mercato globale, mimando così, con una coreografia spontanea, la perdita di contatto con tale biodiversità. Diversamente, in To Hand. A Projection for the Palm (2017), la mano sfuggevole di Olena Newkryta si nasconde nella luce tiepida del proiettore, alla ricerca costante di schermi temporanei sui corpi passeggeri degli spettatori. Se offerta, la nostra mano diventa la superficie su cui questa carezza digitale può prendere forma, creando l’occasione per un contatto empatico inaspettato.
Helen Anna Flanagan, con i suoi esperimenti estetici e teatrali, è in grado di raccontare il nostro presente mettendo in scena gli effetti di un contagio psicologico di massa, un’epidemia basata unicamente sulla diffusione di dicerie e convinzioni, senza aver bisogno di un vettore virale (Gestures of Collapse, 2019). Emilia Tapprest in Sonzai Zone (2019) riesce invece a mostrarci un futuro possibile, attraverso i ritratti dei protagonisti solitari del suo film di “fantascienza speculativa”. Un futuro così segnato dall’estrema dematerializzazione della tecnologia da rendere indistinto ogni confine tra realtà e connessione virtuale, fra solitudine e intimità.
Fiction e racconti autobiografici, documenti estetici e d’archivio. A prescindere dal linguaggio scelto, tutti i film presentati ci invitano a rileggere, attraverso punti di vista e sensibilità alternative, il nostro tempo presente. Resistere, come ci ricorda anche Donna Haraway, non significa infatti scavalcare una crisi, ma restare a contatto con i problemi 2, passaggio necessario per trovare, anche nell’incertezza attuale, nuove forme di esistenza, di legami, di parentela. In tal senso, le immagini in movimento sono strumenti di resistenza: lenti dell’immaginazione, con cui fermare, espandere e ridefinire, anche solo per frammenti, la nostra condizione contemporanea, le nostre relazioni con l’Altro e con un futuro imperfetto.