Heiligenschein è una parola tedesca usata per indicare un fenomeno ottico. Il suo significato letterale è “sacro splendore” e ciò che circonda con un alone luminoso, letteralmente, è il doppelgänger di chi guarda. Un heiligenschein, infatti, appare intorno all’ombra della testa di chi lo sta guardando, quando questa è proiettata su una superficie ricoperta di rugiada.
Per la sua prima mostra personale, Riccardo Sala si sofferma sull’heiligenschein della rappresentazione con l’obiettivo di esacerbarne l’aspetto perturbante. Attraverso una nuova serie di litografie e un’installazione site-specific, la mostra riunisce il fascino e la ricerca dell’artista per gli archetipi, i tropi culturali visivi e il valore mitico insito nella creazione di immagini e indaga la guerra psicologica che plasma le interazioni (più o meno visibili) tra desideri e prodotti automatizzati, tra realismi e loro alternative.
Stone Tape Memories è una serie di litografie che fa un’appropriazione allegorica di un lessico visivo intrecciato con il capitalocene, le economie libidinali, le scienze comportamentali e la tecnologia. Appaiono stranamente familiari, e infatti sono versioni ingrandite delle istruzioni di montaggio che si trovano all’interno del guscio di plastica di un ovetto Kinder Surprise. Da poliziotti che pattugliano le strade a bordo di Segway, a persone che chiacchierano per strada protette da uno scafandro, queste immagini portano con sé sentimenti di aspirazione e ansia anticipata. Attraverso il processo litografico, Sala ristampa queste immagini per sfidarne il potere seducente, sostituendo la loro dolcezza industriale e i colori lussureggianti con una loro versione decisamente sinistra, oscura e materiale. Allo stesso tempo, la loro serialità stimola una riflessione sul tipo di mondo che queste istruzioni suggeriscono di assemblare, mostrandosi come rituale diabolico per la riproduzione dei meccanismi che in primo luogo le hanno prodotte, dai sistemi pervasivi di sorveglianza alla catastrofe climatica, dalle politiche estrattive alla catena di distribuzione globale.
Il titolo allude alla teoria omonima resa popolare dal film di Nigel Kneale The Stone Tape (1972), che sostiene come rocce e pietre immagazzinino eventi ed energie. Ossia come rocce e pietre siano dispositivi di registrazione che possono essere azionati in un secondo momento dal nostro sistema nervoso, restituendo i dati originali sotto forma di immagini spettrali. Se nel film The Stone Tape viene scoperto un gruppo di antichi monoliti che funziona come un “fatale schema compulsivo di cui cadono vittime”1 i personaggi, le litografie di Sala conservano la misteriosa agentività che impregna quelle pietre ma sembrano artefatti di operazioni psicologiche dedicate alla produzione e al consumo di desideri attraverso prodotti che creano dipendenza.
Viral Network (View) è una finestra site-specific installata nell’inferriata dello spazio espositivo, che attinge all’ordine simbolico della prospettiva lineare. La prospettiva è uno di quegli oggetti tecnici che per lungo tempo in Occidente ha sia informato la conoscenza sia consolidato la storia dell’antropocentrismo e della supremazia bianca. In quanto forma di memoria sociale che organizza la realtà, ci perseguita ancora. Prendendo in prestito l’analisi di Franco Bifo Berardi sulla Gestalt, essa “ci permette di vedere, di riconoscere. Ma al tempo stesso ci impedisce la visione di qualsiasi altra cosa che non sia compatibile con la Gestalt.”2 Sala sovverte il realismo di tale cornice cognitiva attraverso un estraniamento poetico, superando così la sua interpretazione preventiva delle percezioni, il suo “effetto trappola.” In questo senso, prima convergenti da e verso l’occhio di chi guarda, ora le linee geometriche utilizzate per costruire un’immagine antropocentrica del mondo vengono ricombinate in una rete che cattura e reindirizza lo sguardo in più direzioni. Prima trasparente e invisibile, ora il piano materiale della rappresentazione viene corrotto aggiungendo spazio e tempo a tale veduta, cioè la rende storicamente contingente e tangibile, neutralizzando così le sue pretese di universalità senza tempo.
Se la stranezza traumatica della pandemia di Covid-19 che stiamo vivendo ha rimarcato più recentemente l’instabilità della realtà, ci invita anche a immaginare un’uscita. In questo senso, “Heiligenschein” mira ad articolare una riflessione sull’immaginario pre-desiderato dalle ideologie dominanti e dalle disuguaglianze strutturali che le sostengono, siano esse sociali, economiche o ambientali.
—Bianca Stoppani