Giulia Crispiani, Lucrezia Calabrò Visconti e le altre “Esasperate Eretiche Estatiche” Almanac / Torino

4 Ottobre 2021

Questa è una mostra fatta per sentito dire, un libro scritto sotto falso nome, un manifesto rivoluzionario per interposta persona. È una poesia scritta a più mani, una mappa emotiva sussurrata all’orecchio e un brivido lungo la schiena: è un tempo che si ferma, per un po’ si congela, contiene tante parole già dette e tanti desideri da esprimere. Se non ci vediamo alla fine del mondo, ci diamo appuntamento all’inizio del tempo.

I. La stanza
Questa stanza è la mappa di una città che ricordi: i nomi delle vie ti sono familiari, il tuo corpo si muove prima ancora di incontrarli. Quando leggi le parole che costellano lo spazio, la voce che senti è quella di un’amica, le pareti sono calde come quelle di una casa. Questa mappa è la somma delle città in cui hai vissuto, è sentimentale e autoreferenziale. Se quando entri non sai dove andare, fammi vedere dove fa male, e ci vediamo là.

II. I corpi
La città è iscritta sulla nostra pelle come un tatuaggio. Le sue strade sono ciò che è rimasto sulle lenzuo- la dopo una notte insieme, i nostri corpi delinquenti sono il suo territorio. Questa stanza è una cella in cui siamo state ammassate, fianco a fianco finché il respiro non s’è trasformato in sudore, strette strette finché l’ardore non s’è trasformato in fomento. Esasperate, eretiche, estatiche. Esasperate, erratiche, isteriche. È una stanza piena di morte dedicata alle vive: è fatta per renderci più aspre, violente e fiere.

III. La luce
La luce che vedi è quella che c’è in città, se solo potessimo camminare di notte da sole. Eppure lì sotto alle luci al neon noi ci siamo dette delle cose, ci siamo cercate a tentoni in mezzo alla nebbia. Come l’erbaccia sul marciapiede illuminato dal chiaro di luna, bagniamo le lenzuola di lacrime e le stendiamo come bandiere, mentre cantiamo alla notte finché non ci prude la gola.

IV. Le voci
Questa mostra è una canzone fatta di ritornelli. È un concerto di tutte le voci che ci hanno attraversate, una retrospettiva collettiva da cantare all’unisono. Amanti, trobaries, pettegole e prefiche chiamate a raccolta tra i panni stesi, le loro risa caricate in un’arma da fuoco pronta a sparare. Uno spartito isterico, una drammaturgia per compianto. Se mi senti fischiare tu unisciti al canto, e se mi senti stonare tu urla più forte.

V. La festa
Vorremmo che questa stanza fosse anche una festa, quindi abbiamo invitato e pensato con tutte quelle che ci sono venute in mente. Chi canticchiava in dialetto, chi ballava coi tuoni, chi ha fatto danzare fantasmi, chi ha portato un tramonto. Non siamo venute da sole, ma in tante, per darci conforto e farci coraggio. Perché come ha detto Nuvola, quante lacrime devo ancora versare nella laguna affinché l’acqua diventi mare?

«Non prestate attenzione a nessuno, non parlate con nessuno e sedetevi a una certa distanza dagli altri viaggiatori. Scendete dal treno a Saint-Nom, uscite dalla stazione in direzione del treno e girate a sinistra. Seguite le indicazioni di coloro che vi incontreranno per strada, senza fare domande, camminate a gruppi di due o tre al massimo, senza parlare, fino a raggiungere il sentiero che esce dalla strada, quando dovreste camminare in fila indiana, a qualche metro di distanza le une dalle altre. Quando vi sarete avvicinate al luogo dell’incontro, fermatevi e aspettate di esservi condotte una alla volta. Poi restate immobili e in silenzio fino alla fine… Ogni discussione dell’incontro è vietata, sotto qualsiasi circostanza».

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