Gea Politi e Cristiano Seganfreddo: “Painting is back” ha riaperto una decade centrale per l’arte italiana. Una mostra che pensavi da anni che hai paragonato ad un “uovo sul vulcano!” Cosa è stata questa mostra?
Luca Massimo Barbero: Questa mostra è stata un’occasione nuova e vitale di poter rileggere un periodo che spesso viene letto con tanti preconcetti comuni. Mettere le mani in questi preconcetti è stato interessante e a tratti incosciente. Per me è stato un viaggio dentro del materiale molto bello che spesso viene visto sotto un’ottica distorta e che oggi finalmente può essere restituito con grande lucidità senza interpretazioni critiche, proprio perché questa mostra è stata una palestra per gli occhi delle nuove generazioni.
“Painting is back” non è stata un Amarcord, al contrario è proprio la vitalità della mostra che mi è stata restituita dai feedback da parte di due generazioni diverse. Da una parte quelli che hanno vissuto e ricordato quel momento felice per rivederne la qualità, dall’altra la generazione più giovane che ha scoperto le opere di quel periodo e che hanno colpito la loro attenzione.
CGPS: “Il disegno, la pittura e la scultura non sono forme di espressione tradizionali ma originarie. Quindi anche del futuro”. Sei partito da questa frase manifesto di Gino de Dominicis.
LMB: C’è molta differenza tra il vedere e il guardare, sono verbi interpretativi. Il vedere è organicamente passivo al guardare. De Dominicis rappresenta insieme a Mario Schifano uno degli aspetti più profondi degli anni ’80. Concepiscono la pittura come eterna, una sorta di turbine tra passato, presente e futuro, ma soprattutto futuro. Ancora una volta, questa mostra per me non incarna il passato ma il futuro.
CGPS: Costruisci le tue narrazioni visive e testuali spesso con quelli che chiami “inciampi”. Quando sono importanti nella pratica curatoriale e critica queste distorsioni volute o non che metti?
LMB: Parlo spesso della differenza fra guardare e vedere. Sono due modi di camminare le mostre e le immagini, perciò l’inciampo è una cosa che il curatore deve creare. L’inciampo è un accostamento inaspettato, è un turbamento alla filologia, è spezzare le scuderie, ovvero non tutta la Transavanguardia raggruppata insieme. Creare l’inciampo è spesso lo scopo delle mie mostre. Un modo per resettare la mente dello spettatore subito dopo l’inciampo visivo.
CGPS: “Ipertesto”. È una mostra ipertestuale. Crea collegamenti continui con media diversi. Cosa significa per te procedere per ipertesti?
LMB: Ipertesto è un termine che nasce negli anni ’80. L’idea di passare da una semplicità a un’idea più meccanica. L’idea che un’immagine conduca a una letteratura, un riferimento, un luogo, un’allegoria, e che quindi cresca piena di riferimenti e anche come un ipertesto. Un’immagine in mostra nasconde, cela e raccoglie una variante infinita di interpretazioni. Cerco di non interpretare mai, io come figura servo piuttosto come chiave per diffondere questa miriade di riferimenti.
CGPS: “È tempo di avanzare per cronologie e valorizzare i nostri artisti”: Quante operazioni come “Paiting is back” sono importati in tal senso? E come dovrebbero essere sostenute?
LMB: Sono pronto a negarmi. Non credo si debba avanzare per cronologie, ma muoverle in avanti. Non possiamo considerare più il passato e fingere che gli anni ’80 non ci siano stati, o meglio, stigmatizzarli in quanto tali. Il nostro compito, e quello delle istituzioni museali, è quello di comunicare l’accettazione del dopoguerra. Abbiamo la tendenza a storicizzare il nostro contemporaneo ma ancora facciamo fatica con il XX secolo. Va dato atto che Intesa Sanpaolo, con le Gallerie d’Italia, ha fatto un gesto molto propositivo verso il futuro con questa mostra, soprattutto in questo momento senza precedenti.
CGPS: Abbiamo costruito assieme il numero Pittura Ottanta, scendendo nell’archivio di Flash Art. È stata un’esperienza mistica, anche per la redazione (under 30), tornare sulle pagine che hanno più di trent’anni con l’intento che hai sempre dichiarato di parlare alle nuove generazioni. Quasi una ossessione progettuale, che condividiamo come editori: i giovani.
LMB: Innanzitutto ci tengo a ringraziare la redazione. Spesso abbiamo delle cose che sono nascoste in evidenza. Siamo così occupati dalle consegne del presente che diamo per scontato che tutto sia già consolidato. L’archivio non deve essere un luogo polveroso e noioso. L’archivio è vitale. Infatti, ho apprezzato quando durante la mostra sono stato avvicinato da giovani storici dell’arte che hanno apprezzato il numero speciale di Flash Art come un nuovo modello. Non trovo che l’archivio sia un luogo nostalgico. Ognuno infondo ha vissuto la propria era.
CGPS: Come evolverà l’esperienza di “Painting is back”? Aprirà un ciclo progettuale più ampio? Quali sono le prossime azioni con Gallerie d’Italia?
LMB: Questa mostra ha avuto due momenti editoriali: il numero speciale Pittura Ottanta, che è stato un punto originale e focale della mostra, in quanto è quasi impossibile parlare della pittura anni ’80 senza Flash Art; e il libro che ho pensato con Leonardo Sonnoli, che è l’inizio di un viaggio. Per il prossimo anno stiamo lavorando alla nuova sede di Napoli in Via Toledo, all’interno di una architettura straordinaria progettata da Piacentini. Presenteremo parte delle collezioni del XX e XXI secolo, sarà sicuramente un’ottima avventura.